I suoni prodotti da migliaia di specie marine forniscono informazioni utili per analizzare alcuni processi in corso nei mari e negli oceani e monitorare la salute degli ecosistemi acquatici. Uno strumento utile anche nella lotta ai cambiamenti climatici.
Un nutrito gruppo internazionale di esperti di biologia marina è il promotore di un nuovo progetto che punta a raccogliere dati ottenuti dal monitoraggio acustico delle acque. L’obiettivo ultimo dello studio è creare un archivio web di informazioni utili a comprendere meglio gli ambienti sottomarini, cogliendone l’evoluzione e lo stato di salute. La “biblioteca” condivisa globale che emergerà sarà realizzata strutturando database già esistenti e locali secondo metodi standardizzati e uguali per tutti. Saranno così raccolte e unite tutte le rilevazioni indipendenti distribuite tra i vari centri di ricerca. Uno strumento utile non solo agli addetti ai lavori ma anche agli appassionati, che potranno contribuire a loro volta ad arricchire le informazioni in rete in un’ottica di citizen science, o scienza partecipata. Grazie alla tecnologia e ai sistemi di intelligenza artificiale, inoltre, potrebbe diventare possibile utilizzare i dati raccolti per contrastare i cambiamenti climatici.
Monitoraggi acustici per indagare gli habitat marini
Il monitoraggio acustico passivo (o PAM, Passive acoustic monitoring) è svolto utilizzando speciali microfoni progettati per essere utilizzati sott’acqua, chiamati idrofoni. I campioni così raccolti possono fornire informazioni utili, per esempio su aree biologicamente importanti, permettendo di rilevare quali specie produttrici di suoni caratterizzano un certo ecosistema e di individuare identità sonore tipiche.
Moltissimi animali contribuiscono a formare l’ambiente sonoro subacqueo. Grazie all’archivio sarà possibile classificare i suoni raccolti, associandoli alle relative specie marine. Attualmente si conoscono circa 126 specie di mammiferi marini, 35.000 specie di pesci e 250.000 specie di invertebrati marini in grado di produrre suoni, ma il numero è in costante aumento. I suoni raccolti potrebbero anche permettere di scoprire nuove specie. Molti mammiferi marini hanno, peraltro, comportamenti sonori subacquei ben definiti, e i richiami che emettono sono a volte così distintivi da permettere di identificare individualmente i membri di un gruppo.
L’importanza dei suoni subacquei
Alcuni ricercatori hanno pubblicato sulla rivista Frontiers Research Foundation un recente articolo dal titolo “Sounding the call for a global library of underwater biological sounds”. Nell’articolo gli scienziati hanno spiegato perché è importante analizzare che cosa succede nei mari e negli oceani tramite l’indagine dei suoni. Non si tratta soltanto di un esercizio per accrescere la conoscenza scientifica pura. La biodiversità dell’habitat marino, la più estesa al mondo, è infatti in declino a causa anche dei cambiamenti climatici. Per questo, analizzare le caratteristiche sonore di certe aree è utile a seguirne l’evoluzione e ad analizzare i danni prodotti, tra le altre cose, dal riscaldamento globale.
Molti sono i contributi interdisciplinari previsti. I biologi potrebbero, per esempio, contribuire a definire i criteri di scelta dei metadati per strutturare una piattaforma standardizzata nella raccolta delle rilevazioni sonore, insieme a esperti dell’elaborazione dei segnali sonori e a data-scientist per la creazione di un database funzionale. La sfida che coinvolge settori differenti della ricerca, dalla biologia marina all’informatica.
Il ruolo della tecnologia per una sonoteca unificata
La mole di dati ottenuti dai molti PAM già effettuati o in corso sta aumentando sensibilmente. Per assemblare tra loro le informazioni già contenute nelle varie “biblioteche” di suoni è necessario il supporto di tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale. Al momento, infatti, ciascuna di queste sonoteche è un silos scollegato e autonomo, non interconnesse in una rete, e spesso contenente dati relativi ad aree o specie animali specifiche. Una piattaforma globale di bioacustica aprirebbe invece alla possibilità di integrare ed espandere le raccolte esistenti sulla base di cinque linee guida: ottenere un inventario completo delle sorgenti sonore conosciute; catalogare tutti i suoni non identificati; sfruttare gli algoritmi per la rilevazione e la classificazione; sviluppare un sistema di facile consultazione; permettere a tutti l’accesso ai dati. Questa visione di scienza aperta e condivisa si basa anche su esperienze attuate in campi correlati, come la telemetria acustica o il censimento visivo della fauna marina.
Software adeguati potranno gestire attività come la valutazione delle rilevazioni sonore, da integrare con le caratteristiche dell’habitat di riferimento e ai tipi di animali solitamente presenti. La tecnologia, applicata a un database arricchito di numerose informazioni, consentirebbe anche una più precisa estrapolazione dei suoni in ambienti marini che subiscono modificazioni a causa della presenza umana. Tra le altre cose permetterebbe anche di studiare e censire le attività che provocano rumore ambientale a livello subacqueo e complicano la raccolta di suoni tramite PAM. Ci sono naturalmente difficoltà tecniche, che disturbano e complicano le analisi, legate anche a tempeste, movimenti geologici o ghiacci in movimento.
L’integrazione dei dati sonori raccolti in acquari di laboratorio con quelli ottenuti invece vicino a fondali marini che ospitano le stesse specie permetterebbe, per esempio, di verificare se determinati animali possono essere presenti in aree poco esplorate, persino in mancanza di riprese video. Un’adeguata gestione temporale dei dati raccolti consentirebbe inoltre di monitorare gli spostamenti delle specie e di determinare gli habitat di cui necessitano. Diventerebbe anche più semplice rilevare le mutazioni sonore che certe specie subiscono, anche in conseguenza della necessità di adattarsi ad ambienti marini modificati nel tempo a causa delle azioni umane. Si potrebbero monitorare gli spostamenti dei cetacei (e non solo), cogliendone i suoni in aree inattese, e determinare se i cambiamenti climatici o altre attività umane (come le rotte di navigazione o le indagini esplorative) comportino mutamenti nei percorsi migratori.
Poi c’è l’enorme quantità di suoni biologici non identificabili, collegati a specie animali non ancora classificate in base a queste caratteristiche. Con una sonoteca comune e condivisa, molti ricercatori potrebbero trovare riscontri finora mancanti o identificare suoni ancora sconosciuti, arricchendo ulteriormente il catalogo della biodiversità acustica.