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Piante lunari

Siamo abituati a vedere l’arabetta comune, una piccola pianta erbacea, nei nostri prati, e di certo non ce la aspettiamo sulla Luna. Eppure, un gruppo di ricercatori dell’Università della Florida, in collaborazione con la NASA, è riuscito a far germinare alcuni esemplari di Arabidopsis thaliana, questo il nome scientifico della piantina dai fiori bianchi, in tre dei campioni di terreno raccolti sul nostro satellite nel corso delle missioni Apollo. Per sapere come stanno le piantine (spoiler: non benissimo), gli scienziati ne studiano ora il DNA.

Il 21 luglio 1969 l’astronauta americano Neil Armstrong calpestò per la prima volta il suolo lunare. Avete presente la famosissima foto della sua impronta? Sembra impressa in una specie di sabbiolina grigiastra: si tratta di regolite, una miscela di detriti che ricopre le rocce dei pianeti e di altri corpi celesti rocciosi. Il rivestimento lunare è il più famoso, nonché il più studiato, dopo quello terrestre. Basti pensare che le missioni del programma Apollo sono rientrate sulla Terra con quasi 4 quintali di materiali raccolti sulla Luna, di cui svariate decine di chilogrammi sono costituite da regolite. Perché non provare a sperimentare se sia possibile farci crescere qualcosa?

Vegetali nello spazio

Abbiamo già raccontato delle verdure coltivate nello spazio: nella Stazione spaziale internazionale ormai c’è un vero e proprio orto. Gli scienziati vogliono capire come poter coltivare piante lontano dalla Terra, poiché da questo può dipendere la sopravvivenza di una possibile futura colonia umana extraterrestre. Le variabili, però, sono tante, e una di queste è il tipo di terreno. Potremmo portarci dietro un po’ di terriccio, ammesso che fuori dalla Terra possa resistere, prosperare, nutrire ed essere nutrito. Prima o poi, tuttavia, dovremmo imparare a usare quello che troviamo.

Ecco perché un trio di biotecnologi dell’Università della Florida, con l’aiuto della NASA, ha provato a far crescere una piantina proprio sulla regolite lunare raccolta dalle missioni Apollo 11, 12 e 17. Si tratta della celebre Arabidopsis thaliana (arabetta comune), una piccola pianta parente dei broccoli che negli ambienti della ricerca scientifica è l’equivalente botanico del moscerino della frutta. Tra gli organismi modello, infatti, non esiste forse una pianta più studiata. In questo modo i ricercatori hanno potuto comprendere nel dettaglio come essa reagisca a questo strano terreno.

Crescita sì, ma non rigogliosa

I risultati sono stati pubblicati lo scorso maggio sulla rivista Communications Biology. Sulla regolite raccolta dalle tre missioni Apollo le piantine sono subito spuntate e la loro crescita è stata monitorata. Una piantina della stessa specie è stata seminata, come controllo, anche in un campione di simulante lunare, una sorta di “copia” della regolite lunare prodotta da ricercatori sulla Terra a partire da ceneri vulcaniche. Ogni piantina è cresciuta all’interno di un pozzetto di una piastra di laboratorio, in appena 900 milligrammi di materiale (la NASA ha concesso 12 grammi in tutto della preziosa regolite lunare, pari a circa due cucchiaini da caffè).

 Arabidopsis è una pianta robusta e dalla crescita facile. In Italia cresce praticamente ovunque, città incluse, ma la regolite lunare l’ha messa a dura prova. La crescita di tutte le piantine, anche di quella seminata nel simulante, è stata infatti molto lenta e stentata. Particolare difficoltà ha dovuto affrontare l’Arabidopsis cresciuta nella regolite della missione Apollo 11. In generale, le piante avevano i sintomi tipici di qualche stress, la cui natura è stata investigata attraverso analisi molecolari.

La risposta nel DNA

Poco prima della fioritura i ricercatori hanno polverizzato le piante e ne hanno studiato l’RNA. Le molecole di RNA sono trascritte a partire dai geni presenti nel DNA e, una volta tradotte, permettono alle cellule di costruire le proteine di cui hanno bisogno. La presenza di una certa sequenza di RNA ci dice quindi che un certo gene si è attivato nella pianta. Per quanto riguarda Arabidopsis, si è potuto osservare che molti dei geni trascritti erano quelli necessari alla pianta per affrontare stress ambientali, in particolare la presenza di sali, metalli, calore e specie reattive dell’ossigeno. Tutto questo, invece, non è stato osservato nelle piante cresciute sulla regolite simulata.

La ragione, secondo i ricercatori, sta nel fatto che la “vera” regolite è esposta ai raggi cosmici e all’impatto di micrometeoriti che ne alterano la struttura in maniera singolare. Occorre infatti ricordare che la Luna non ha né atmosfera né campo magnetico. Nel tempo nella regolite si producono particolari aggregati di minerali detti agglutinati, che rendono il terreno lunare inospitale per le piante terrestri. Questo spiegherebbe anche perché la regolite prelevata dall’Apollo 11 risulti essere la peggiore per coltivarvi le piante, rispetto a quella raccolta dalle altre due missioni. In quel sito di raccolta, la regolite era geologicamente più “matura”, cioè era stata esposta per un tempo maggiore al bombardamento di raggi cosmici e micrometeoriti.

Ritorno alla Luna

Questa ricerca fa parte dell’Apollo Next Generation Sample Analysis Program, finalizzato a rianalizzare con occhi e tecnologie di oggi tutto il materiale campionato dalle missioni lunari, in vista di possibili missioni future. Nel 2017 la NASA ha infatti lanciato il programma Artemis, che prevede di portare due persone sul suolo lunare. L’allunaggio potrebbe avvenire entro il 2030.

Jacob Bleacher, Chief Exploration Scientist della NASA, ha commentato la ricerca dicendo che “per esplorare e capire più a fondo il sistema solare in cui viviamo, dobbiamo sfruttare quello che c’è sulla Luna, in modo da poter evitare di portarlo con noi dalla Terra”. L’esperimento in questione non è altro che un piccolo passo in questa direzione. E non solo: come ha ricordato Bill Nelson, amministratore della NASA, queste ricerche potrebbero anche aiutarci a capire come coltivare piante alimentari in terreni inospitali qui sulla Terra. Secondo la planetologa Monica Grady, “sarebbe un grande risultato se far crescere le piante sulla Luna fosse determinante per aiutare i giardini a diventare più verdi sulla Terra”.

Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.
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