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Perché l’Italia procede a rilento con le terapie digitali?

Alcune difficoltà burocratiche e la mancanza di processi di regolamentazione e approvazione complicano la diffusione di terapie innovative in cui il principio attivo è un algoritmo e la cui sicurezza ed efficacia devono essere dimostrate. Nel frattempo, Stati Uniti, Germania e Francia le rendono utilizzabili, prescrivibili e rimborsabili: sarebbe importante non restare (ulteriormente) indietro.

Numerosi medici, soprattutto nei Paesi europei e negli Stati Uniti, stanno imparando ad apprezzarle sempre più; i pazienti le conoscono come potenzialmente utili per gestire o risolvere determinate condizioni di salute; la comunità scientifica è attenta a raccoglierne le prove di efficacia. Le cosiddette terapie digitali, supporti tecnologici usati per contribuire ad affrontare una notevole varietà di condizioni cliniche, sono ormai pronte per essere integrate nei percorsi terapeutici; eppure, in Italia ancora nessuna terapia digitale è stata approvata e autorizzata al commercio, ed è improbabile che ciò possa accadere a breve, date le carenze burocratiche e legislative. Anche se qualcosa si è mosso proprio nell’ultimo periodo. Quali sono i motivi e cosa possiamo aspettarci nel breve termine?

Terapie digitali: già capire di cosa si tratta può essere una sfida

Qui su WonderWhy ne abbiamo già parlato, ma meglio fare un passo indietro, perché

anzitutto occorre fare chiarezza su cosa siano (e cosa non siano) le terapie digitali. La confusione su questi strumenti è vasta anche tra gli stessi addetti ai lavori. Dicevamo che si tratta di soluzioni di salute il cui principio attivo è un algoritmo, e già qui non è semplice immaginare come si possano determinare degli specifici effetti sulla salute attraverso una procedura algoritmica, ossia una serie di istruzioni in linguaggio matematico e informatico che, date in pasto a una macchina, possono fare dei calcoli automatici. Per fare qualche esempio pratico, i pazienti possono ricevere degli stimoli, come immagini, suoni, testi con suggerimenti e notifiche, che possono aiutarli ad affrontare meglio le proprie condizioni di salute. Per esempio, alcune terapie digitali possono proporre a pazienti con dipendenze da sostanze, depressione o ansia tecniche ed esercizi basati sulla terapia cognitivo comportamentale, una forma di psicoterapia validata scientificamente che può aiutare a superare il problema.

Trattamenti di questo tipo sono per ora indicati soprattutto per la gestione e il trattamento di malattie croniche di tipo neuropsichiatrico (oltre a dipendenze e depressione, anche insonnia e deficit cognitivi e di attenzione) oppure di tipo metabolico (obesità, ipertensione e diabete). In pratica si tratta di tecnologie che offrono una vera e propria terapia gestita da un software, basato per esempio su strumenti di intelligenza artificiale. Devono essere basate su evidenze scientifiche di sicurezza ed efficacia, devono avere un sistema di prescrizione e dunque dei programmi terapeutici messi a punto e approvati da apposite commissioni di medici ed esperti, e devono essere riconosciute dal servizio sanitario. Devono anche prevedere un coinvolgimento attivo dei pazienti ed eventualmente delle persone che se ne prendono cura.

Non fanno parte delle terapie digitali le cosiddette app di salute, ossia strumenti puramente informativi e per il benessere. In questi casi si parla più propriamente di strumenti di digital health, o salute digitale che, con diversi gradi di complessità, favoriscono l’adozione di abitudini quotidiane salutari, dall’attività fisica al riposo notturno fino a una dieta varia ed equilibrata. Ma che per questo rappresentano ausili al percorso di cura, e non terapie in sé.

Neppure i dispositivi medici che misurano i parametri fisiologici e raccolgono dati utili a valutare lo stato di salute dei pazienti (stiamo parlando di orologi, braccialetti, misuratori di pressione, sensori indossabili e tanto altro) sono da considerarsi terapie digitali. E non lo sono neppure i sempre più diffusi strumenti digitali per aiutare i pazienti a gestire patologie direttamente nella propria abitazione, senza recarsi in strutture sanitarie: tutti questi dispositivi fanno parte della cosiddetta “digital medicine” o medicina digitale, ma non hanno nulla a che vedere con le terapie digitali.

La situazione italiana

Ormai si vanno accumulando evidenze scientifiche che dimostrano come alcune terapie digitali siano utili ed efficaci per il trattamento di patologie specifiche. Eppure in Italia stanno faticando parecchio a decollare. E mentre il nostro Paese è ancora quasi ai cancelli di partenza, nel resto d’Europa e in altre parti del mondo queste tecnologie si stanno inserendo e integrando all’interno dei sistemi sanitari, dove sono proposte come innovazioni per il trattamento di specifiche patologie. Si stanno anche creando nuove filiere di sviluppo e produzione di strumenti di salute digitale, in cui anche per le aziende italiane sarebbe strategico posizionarsi, anziché restare ai margini quali importatori e distributori.

Qualcuno ritiene che il collo di bottiglia nel nostro Paese stia in una cultura tecnologica e giuridica inadeguata in materia. Infatti, anche agli addetti ai lavori non è sempre chiaro cosa si intenda quando si parla di terapie digitali. Inoltre, non molti sanno che, diversamente da altri strumenti di salute digitale, le terapie digitali sono sottoposte a studi clinici randomizzati e in doppio cieco in cui se ne verificano la sicurezza e l’efficacia e, in Paesi diversi dall’Italia, anche per tali terapie si seguono processi di regolamentazione e approvazione dell’immissione in commercio simili a quelli dei farmaci tradizionali.

Altri sostengono che il problema stia in una difficoltà anzitutto burocratica e formale nel traghettare efficacemente le nuove tecnologie dentro la pratica medica quotidiana. Perfino le numerose “app” di salute digitale sono utilizzate pochissimo sia dai medici sia dai pazienti. Del resto, in Italia il legislatore non ha ancora neppure stabilito quale percorso di sperimentazione e validazione sia necessario per completare il processo regolatorio e di approvazione affinché le terapie digitali possano essere messe legalmente a disposizione di medici e pazienti.

Qualcosa si è mosso proprio nell’ultimo periodo, probabilmente anche a causa della pandemia di Covid-19 e della necessità di trattare i pazienti al di fuori degli ambienti sanitari, utilizzando strumenti tecnologici e di salute digitale. “Recentemente si è evidenziato grande interesse anche da parte delle istituzioni, come dimostra la creazione di un intergruppo parlamentare per legiferare sui temi della sanità digitale”, ci ha spiegato in un’intervista Eugenio Santoro, responsabile del Laboratorio di informatica medica all’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri IRCCS. “Si tratta di un ottimo punto di partenza per orientarsi al meglio nei temi più discussi, come la prescrivibilità e la rimborsabilità”. Così, sperabilmente, si potranno definire i criteri per la possibile introduzione nel mercato e per il superamento degli ostacoli burocratici e normativi che fino a oggi hanno frenato il percorso di crescita e sviluppo delle terapie digitali nel nostro Paese.

Dal Parlamento si attende che siano chiarite questioni legate, oltre che all’iter di approvazione, anche alla rimborsabilità di tali terapie digitali da parte del Servizio sanitario nazionale. Inoltre, il legislatore dovrà stabilire se le terapie digitali rientrino nella categoria dei farmaci o dei dispositivi medici o se andranno considerate entità a sé stanti. Ma qualche progresso potrebbe essere non troppo lontano. “Una prova evidente dell’accelerazione in questo campo è l’interesse delle società scientifiche e delle istituzioni [oltre che delle aziende, ndr], impegnate nella formulazione di leggi efficaci e chiare per garantire la penetrazione e l’accessibilità delle terapie digitali in Italia”, ha spiegato Santoro. “Insomma, seppure in ritardo rispetto ad altri Paesi, anche in Italia si sta creando quell’ecosistema necessario a favorire il dialogo tra tutti gli attori coinvolti”.

Germania e Francia come modelli di riferimento

Anche appena al di fuori dei confini nazionali la sfida per rendere disponibili le terapie digitali ha una certa complessità, ma qualche passo in più è stato fatto. La Germania è il Paese che per primo ha adottato una legge che regolamenta la prescrivibilità da parte di medici e la rimborsabilità di strumenti digitali in ambito medico. Così facendo, gli enti preposti si impegnano per esempio ad aiutare i pazienti a scegliere le terapie digitali più efficaci, ossia quelle validate da studi clinici controllati e randomizzati.

Ancora più ampia è la diffusione negli Stati Uniti, dove negli ultimi anni sono stati compiuti notevoli sforzi. Secondo i dati estratti dal DTx Monitoring Report 2023 redatto in Italia, oltreoceano il mercato delle terapie digitali nel 2022 ha superato i 2 miliardi di dollari di valore, e conta già quasi 150 studi clinici in corso o completati.

A marzo 2023 anche la Francia ha avviato un processo per facilitare l’approvazione e l’adozione delle terapie digitali e dei sistemi di telemonitoraggio quali strumenti di cura per i pazienti. Proprio qualche settimana fa è stata approvata Cureety, una piattaforma per tenere monitorati i pazienti oncologici. Grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale, il sistema può aiutare a valutare lo stato di salute, semplificando il lavoro quotidiano degli operatori sanitari e favorendo la raccolta di dati utili per migliorare il trattamento clinico.

Un ulteriore tema da affrontare, e che sta rallentando la penetrazione delle terapie digitali nei vari sistemi sanitari, riguarda la gestione dei dati. Oltre ai problemi legati alla tutela della privacy e alla sicurezza, affinché questi nuovi strumenti di cura siano efficaci è fondamentale garantire l’interoperabilità dei dati, ossia il fatto che essi siano leggibili, gestibili e utilizzabili su piattaforme diverse. L’AI Act europeo, il Regolamento recentemente vagliato dal Parlamento dell’Unione che è la prima norma al mondo sull’intelligenza artificiale, prende in conto gran parte di queste criticità.

Gianluca Dotti
Giornalista scientifico freelance e divulgatore, si occupa di ricerca, salute e tecnologia. Classe 1988, dopo la laurea magistrale in Fisica della materia all’università di Modena e Reggio Emilia ottiene due master in comunicazione della scienza, alla Sissa di Trieste e a Ferrara. Libero professionista dal 2014 e giornalista pubblicista dal 2015, ha tra le collaborazioni Wired Italia, Radio24, StartupItalia, Festival della Comunicazione, Business Insider Italia, Forbes Italia, OggiScienza e Youris. Su Twitter è @undotti, su Instagram @dotti.it.
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