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Avicenna e la medicina araba medievale

Per una buona parte del Medioevo, l’impero islamico ha attraversato un’età d’oro in cui sono emersi intellettuali molto influenti, come il medico e filosofo Avicenna. I suoi insegnamenti sono stati per secoli un punto di riferimento per i medici arabi e occidentali.

Colui che conosciamo con il nome di Avicenna, prima del XIII secolo era noto come Ibn Sīnā, che a sua volta è il diminutivo di un nome ben più lungo in arabo. Prima nel mondo arabo e poi in Occidente, alcuni dei suoi testi furono considerati punti di riferimento della medicina e contribuirono a formare generazioni di medici. Per capire come gli insegnamenti di Avicenna siano diventati così influenti, dobbiamo tornare indietro nel tempo partendo dal periodo in cui è vissuto.

L’età d’oro dell’Islam

Ibn Sīnā nacque probabilmente qualche tempo prima del 980 dell’era cristiana, nella città di Afhshna vicino a Bukhara, nell’antica Persia, oggi Uzbekistan, e morì nel 1037 ad Hamadan, nell’attuale Iran. Al tempo l’impero islamico era guidato dalla dinastia degli Abbasidi e stava attraversando un periodo di grande prosperità. Questa fase che va dal VIII al XIII secolo è stata chiamata in seguito età dell’oro islamica e durò fino a quando gli Abbasidi persero la capitale Baghdad per mano dei Mongoli. Un esempio del fermento culturale dell’epoca è la Casa della conoscenza (in arabo Bayt al-Hikmah), la grande biblioteca reale che nacque nel VIII secolo proprio a Baghdad, diventando ben presto il centro culturale dell’impero. Grazie al sostegno degli Abbasidi, che avevano anche appreso dai cinesi il segreto per fabbricare la carta, gli studiosi cominciarono a tradurre in arabo, la lingua franca dell’Impero, tutte le opere scientifiche disponibili. Molti testi erano in greco e di autori come Aristotele, Galeno, Platone, Dioscoride, e naturalmente Ippocrate, ma si traducevano anche opere dal sanscrito e dal persiano. Non è quindi un caso che Ibn Sīnā e altri importanti eruditi siano emersi nel corso del califfato Abbaside, in cui sussistevano le condizioni ideali sia per studiare sia per entrare in contatto con molteplici culture, da quella ellenistica a quella indiana.

Un genio precoce

Il padre di Ibn Sīnā era un funzionario governativo e pochi anni dopo la nascita del figlio si trasferì con la famiglia a Bukhara. Qui Ibn Sīnā cominciò a istruirsi, sotto la guida del padre e di diversi maestri privati. Studiò grammatica, retorica, logica, e da un ortolano imparò i rudimenti dell’aritmetica, per poi passare alla geometria e all’astronomia. Stando alla sua autobiografia, era straordinariamente dotato tanto da aver memorizzato tutto il Corano a soli 10 anni. Con grande successo in seguito si dedicò alla medicina, come scrisse egli stesso: “La scienza medica non è difficile. Perciò in breve tempo diventai eccezionale a praticarla, tanto che eccellenti medici cominciarono a studiarla sotto la mia guida”.

 Da queste parole traspare la scarsa modestia di Ibn Sīnā, ma anche la sua considerazione della medicina. Per lui era una disciplina accessoria rispetto alle scienze naturali dell’epoca, come l’astrologia e l’agricoltura, ed era subordinata alla filosofia, ma soprattutto alla metafisica, la più alta delle scienze. Ciononostante, la sua carriera partì proprio dalla medicina, quando a 18 anni diventò medico alla corte dell’emiro locale Nūḥ b. Manṣūr. Qui aveva tutto quello che serviva a uno studioso dell’epoca: libri – poteva accedere alla grande e fornita biblioteca dell’emiro –, possibilità di instaurare relazioni con altri sapienti e protezione. Tuttavia non durò a lungo.

L’età dorata dell’Islam era infatti prospera, ma anche instabile politicamente. Nell’impero, in quest’epoca l’autorità degli Abbasidi si stava già frammentando e a livello locale il potere cambiava spesso. Per tutta la sua vita Ibn Sīnā fu dunque costretto a viaggiare attraverso la Persia alla ricerca di nuovi mecenati, presso cui lavorare come medico o consigliere. I tumulti politici lo costrinsero diverse volte a nascondersi o a scappare, e una volta fu persino imprigionato. Però non smise mai di scrivere libri e mantenere contatti epistolari con altri dotti del tempo, grazie anche all’aiuto di Abū ‘Ubayd al-Jūzjānī, il suo inseparabile pupillo, scrivano e biografo. Quando Ibn Sīnā morì, era ormai celebre tanto che la sua tomba ad Hamadan diventò un luogo di pellegrinaggio per i suoi discepoli. Oggi, nello stesso luogo, è possibile visitare l’imponente mausoleo che è stato costruito per onorare la sua memoria negli anni Cinquanta del Novecento.

Il Canone della medicina

Al moderno mausoleo di Ibn Sīnā ad Hamadan, la tomba di Avicenna è circondata da 12 colonne che simboleggiano le discipline in cui Ibn Sīnā era considerato un maestro secondo la classificazione della conoscenza dell’epoca. Diverse fonti testimoniano che scrisse più di 400 libri, di cui ne sono sopravvissuti oltre 200. Di questi, 40 parlano di medicina, mentre gli altri spaziano dalla matematica alla musica, dall’etica alla geometria, dalla meteorologia alla teologia. Dopo la sua morte il suo pensiero si diffuse attraverso l’Islam in modo così celere che Yahya Michot, professore emerito di pensiero islamico e di relazioni cristiano-musulmane alla Hartford International University for Religion and Peace, in Connecticut, parlò di “pandemia Avicenniana”. Inoltre secondo alcuni autori, nel mondo arabo la sua figura è stata simile, per importanza e contributi alla conoscenza, a quella di Leonardo Da Vinci in Occidente.

A livello internazionale il nome di Ibn Sīnā è legato indissolubilmente alla medicina, e a un libro in particolare: il Kitāb al-Qānūn fī l-ibb, il cui titolo in italiano è stato tradotto con Il Canone della medicina. Cominciò a scriverlo intorno al 1013, a Gorgan, e lo finì ad Hamadan nel 1025. Si tratta di una vera e propria enciclopedia medica che in 5 volumi condensa secoli di tradizione medica araba, greco-romana e orientale.

Il primo volume è dedicato ai principi e alle teorie della medicina, il secondo è un dettagliato elenco alfabetico di centinaia di sostanze medicinali e delle loro proprietà. Il terzo elenca diagnosi e cura delle malattie di specifiche parti del corpo, mentre il quarto è dedicato alle malattie sistemiche, ossia quelle che coinvolgono più organi. Infine il quinto volume è rivolto ai composti, cioè alle combinazioni di più sostanze terapeutiche.

La medicina di Ibn Sīnā, e in generale quella araba medievale, era molto influenzata dalla tradizione greco-romana. Nel Canone si ritrova per esempio una teoria degli umori simile a quella di Galeno e osservazioni sull’importanza della dieta, dell’esercizio fisico e dell’ambiente, vicine alle idee di Ippocrate. Il Canone però conteneva anche idee originali. Per esempio viene proposta una forma molto embrionale della teoria dei germi. Anche se era impossibile da provare all’epoca, Ibn Sīnā teorizzò che le malattie infettive fossero causate da corpi minuti che si diffondevano attraverso l’aria, l’acqua e il suolo e da lì penetravano nell’organismo. Inoltre il suo elenco di medicinali e di strategie per provare la loro efficacia nei pazienti erano più estese e dettagliate di quelle di Galeno. Fu anche il primo a descrivere in modo accurato la meningite e a suggerire la natura infettiva della tubercolosi. Il suo era un lavoro sistematico che copriva tutti gli ambiti della medicina, inclusa la chirurgia. Altri studiosi arabi avevano scritto importanti manuali di medicina, ma il Canone si spingeva oltre per estensione e ambizione. In questa parte del mondo non si era mai visto niente di simile.

Da Ibn Sīnā ad Avicenna

Solo nel XIII secolo Ibn Sīnā diventò noto col nome di Avicenna, grazie in particolare al traduttore Gerardo da Cremona, che a Toledo tradusse il Canone dall’arabo al latino. In quel periodo infatti incominciavano a essere introdotte in Europa dal mondo islamico diverse opere preservate e tramandate dagli arabi, come quelle di Galeno e Ippocrate. Anche in Occidente il successo del Canone fu immediato e divenne in breve tempo un testo di riferimento nelle Università. Insieme a Galeno e Ippocrate, Avicenna era considerato uno dei primi padri della medicina, perché era riuscito a trasmettere il suo pensiero e le conoscenze dell’epoca in una forma innovativa. Inoltre, Avicenna era apprezzato perché aveva cercato di conciliare il pensiero di Aristotele, che era considerato la massima autorità filosofica in Occidente e nel mondo arabo, con le più moderne osservazioni anatomiche di Galeno. Per tutto il Medioevo e il Rinascimento Il Canone della medicina continuò dunque a essere discusso e studiato. Ebbe quindi un ruolo importante nel processo di evoluzione della medicina, una disciplina che ha assunto sempre più autonomia dalla filosofia e dalla teologia, fino a diventare nel tempo la scienza che intendiamo oggi. La considerazione di cui godevano i suoi insegnamenti perdurò grosso modo fino all’inizio dell’Illuminismo, quando nuove conoscenze e metodi sperimentali presero gradualmente il sopravvento anche in medicina.

Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.
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