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Storia della medicina – Esperimenti medievali: la medicina dei “secoli bui”

Non è vero che nel Medioevo la medicina si fermò divenendo totalmente ostaggio della superstizione. Pur essendo molto influenzati dall’antichità, i medici medievali non rinunciavano a sperimentare. Proprio come accade oggi, anche allora cercavano di capire cosa funzionasse o meno in un organismo. Diverse furono le innovazioni, tra cui gli occhiali, la quarantena e la dissezione dei corpi.

Qualche anno fa dalla necropoli longobarda di Povegliano (VI-VIII secolo), in provincia di Treviso, è emerso uno strano scheletro. Apparteneva a un uomo tra i 40 e i 50 anni, privo della mano destra. Gli studi hanno stabilito che aveva subito un’amputazione che era perfettamente guarita da tempo. Nella tomba è stata trovata anche una lama, allineata con l’avambraccio amputato, più una fibbia: molto probabilmente l’uomo usava come protesi un coltello, fissandolo all’avambraccio con una cinghia di cuoio di cui è rimasta solo la fibbia in metallo. I suoi denti erano molto rovinati, forse perché li usava per stringere la cinghia quando si montava la protesi. Il ritrovamento dimostrò che, ben prima della scoperta di antibiotici e antisettici, quest’uomo era sopravvissuto a un delicato intervento chirurgico, restando disabile. Probabilmente era stata la sua stessa comunità ad aiutarlo e a procurargli una protesi per essere più indipendente. E i Longobardi sono noti per essere stati un popolo guerriero, non certo per gli atteggiamenti particolarmente umani.

Il Medioevo è spesso raccontato come un periodo di arretramento rispetto alle epoche precedenti. In realtà è stata un’epoca di grandi innovazioni durante la quale fiorirono le arti, l’architettura, la letteratura, il commercio internazionale e la cultura. La medicina, nonostante molte leggende, non fece eccezione.

Ricominciarono gli studi anatomici

Nel tardo Medioevo europeo si riprese a praticare uno strumento fondamentale per la conoscenza medica: la dissezione del corpo umano, che era stata invece proibita al tempo dell’Impero romano, poiché era considerata un tabù. Persino Galeno, il celebre medico dell’antica Roma, aveva potuto servirsi solo di animali per i suoi studi anatomici. Dopo la caduta dell’Impero, attorno al 476 d.C., le resistenze culturali verso questa pratica non scomparvero immediatamente. Per di più in Occidente andarono perduti i libri di Galeno, che invece furono salvati e copiati soprattutto nel mondo arabo. Anche l’Islam non permetteva la dissezione dei cadaveri umani, ma grazie a questi testi l’anatomia in quelle regioni continuò a essere studiata.

Quando finalmente, grazie agli arabi, arrivarono in Europa le traduzioni di Galeno, l’interesse per l’anatomia si riaccese e si ricominciarono a praticare le dissezioni umane nelle prime università. La Chiesa cattolica si preoccupò di normare la manipolazione dei corpi, per evitare per esempio che i cadaveri venissero profanati per “fabbricare” false reliquie, ma non impedì mai agli anatomisti di effettuare i loro studi. Fu invece l’enorme influenza di Galeno a limitare gli studiosi, che preferivano lasciare agli assistenti il compito di operare. Tutto cambiò con Andrea Vesalio nel sedicesimo secolo, ma senza i pionieri medievali lo studioso non avrebbe avuto nulla da cui partire nelle sue ricerche presso l’Università di Padova.

1.300 anni di otturazioni

Non c’era molto zucchero a disposizione nel Medioevo, perciò la salute dei denti era migliore di quella che ci potremmo aspettare in un mondo povero e senza acqua corrente. Le persone in realtà conoscevano l’importanza dell’igiene orale e si pulivano i denti usando stoffe e preparati erboristici. Ciò nonostante, quando i denti si ammalavano un barbiere poteva estrarli, senza anestesia. Almeno questo è quello che accadeva in Europa, perché in Cina la prima testimonianza dell’amalgama per otturazioni dentali risale al 659 d.C. Descritta nel trattato Xinxiu bencao compilato durante la dinastia Tang, era fatta di mercurio, alluminio e argento. L’invenzione giunse in Europa almeno mille anni più tardi.

L’idea degli occhiali

Nel film Il nome della rosa il saggio frate-investigatore Guglielmo da Baskerville, interpretato da Sean Connery, indossa un paio di occhiali. Può sembrare strano, dato che il film, come il libro di Umberto Eco da cui è tratto, è ambientato nel lontano XIV secolo. Tuttavia non si tratta di un errore, perché il personaggio si ispira a Ruggero Bacone, un frate francescano, padre di molte invenzioni. Nel XIII secolo Bacone delineò per la prima volta l’idea degli occhiali e del loro funzionamento. Esperto di ottica, nel 1267 descrisse il potere delle lenti convesse e ragionò su uno strumento che avrebbe permesso di leggere facilmente anche a chi aveva la vista debole. Anche se non riuscì mai a fabbricarli, di fatto li aveva già immaginati. I tempi erano comunque maturi per questa invenzione e infatti nell’arco di una ventina d’anni in Italia comparvero i primi occhiali della Storia.

È sempre difficile risalire al primo inventore di una grande innovazione. Lo stesso Bacone probabilmente aveva letto trattati islamici che parlavano delle cosiddette pietre da lettura, cioè lenti ricavate da cristalli che venivano appoggiate sui fogli per aiutare a leggere i caratteri. Nel mondo arabo erano conosciute almeno dal nono secolo. Sulla base di una presunta testimonianza di Marco Polo, si è anche pensato che gli occhiali fossero stati inventati prima e indipendentemente in Cina, ma secondo gli storici furono invece i cinesi a importare la nuova invenzione. In ogni caso, tutto questo è accaduto nel corso del cosiddetto arretrato Medioevo.

I luoghi della cura: ospedali e farmacie

La storia dell’ospedale comincia nell’antichità, e continua nel Medioevo. In Europa queste istituzioni all’inizio provvedevano soprattutto a ospitare i viaggiatori e i bisognosi ed erano gestite dagli ordini religiosi. Questi luoghi di cura, aiuto e culto, che in Francia erano spesso chiamati “Hotel Dieu”, rispettavano alcuni standard igienici già comuni negli ospedali romani, anche se non sempre erano presenti veri e propri medici. Nel tempo diventarono sempre più grandi, complessi e orientati verso il sapere medico, tanto da essere molto comuni nell’alto Medioevo, con l’Italia capofila. Nel mondo arabo invece gli ospedali medievali sono sempre stati tendenzialmente laici e strutturati per ospitare medici specializzati.

Seguendo gli insegnamenti di Galeno, nel mondo arabo le prime farmacie apparirono nell’VIII secolo. Come per l’anatomia, l’Europa si mise in pari un po’ più tardi grazie alle traduzioni delle opere del celebre medico romano. All’epoca non esistevano ancora procedure statistiche per provare l’efficacia di questi rimedi, ma essi non venivano somministrati in modo necessariamente arbitrario. Un esempio virtuoso sono le regole del filosofo Pietro di Spagna per “testare” il funzionamento dei preparati: per molte volte si doveva provare che il farmaco fosse puro e l’unico a essere somministrato ai pazienti per una specifica malattia.

L’esperimento medievale della quarantena

Nel Basso Medioevo in Croazia, e più precisamente a Dubrovnik, o Ragusa, fu sperimentata la quarantena. La Repubblica di Ragusa aveva infatti promulgato nel 1377 una legge molto innovativa, che richiedeva, a tutti i viaggiatori provenienti da regioni colpite dalla peste nera, di rimanere in isolamento per un periodo di 30 giorni, prima di essere autorizzati a entrare in città. Le pene per chi avesse trasgredito erano severe.

Venezia seguì presto l’esempio, estendendo la durata dell’isolamento a 40 giorni. Questo periodo è stato probabilmente stabilito perché, secondo l’allora influente medicina ippocratica (che in realtà era galenica), le malattie acute seguivano un decorso che portava alla guarigione, o alla morte, entro questo intervallo di tempo. Poiché per la peste bubbonica il periodo medio di tempo tra l’infezione e la morte era di circa 37 giorni, la durata originaria della quarantena era misurata sui tempi di questa malattia. Non era certo la prima volta che una società combatteva le epidemie limitando temporaneamente i movimenti delle persone, tuttavia era la prima volta che si sperimentava un meccanismo così sofisticato, il cui principio – come d’altronde la parola – è ancora attuale.

Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.
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