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Vade retro, ago!

La belonefobia è la paura patologica degli aghi. Altre fobie comuni sono quelle dei ragni, della folla e così via. Potenzialmente qualsiasi cosa può essere oggetto di una reazione fobica. Scopriamo insieme cosa sono di preciso le fobie e quali sono le più diffuse (e le più strane), con uno sguardo ai possibili approcci per superarle.

Nel corso della pandemia da Covid-19, le immagini dei telegiornali si sono spesso soffermate sui centri vaccinali. Le inquadrature hanno mostrato di frequente gli aghi delle siringhe affondare nella pelle delle persone sottoposte a vaccinazione. Per alcuni queste immagini sono una fonte di stress. Ci sono, infatti, persone che soffrono di belonefobia (conosciuta anche come tripanofobia), cioè la paura patologica degli oggetti acuminati, pungenti, in grado di ferire e perforare, come aghi, spilli, forbici e altro. Da molti è stato suggerito di evitare questo tipo di inquadrature, per evitare che questa paura patologica molto diffusa potesse avere un impatto sulla buona riuscita della campagna vaccinale contro il Covid e sulle altre vaccinazioni in generale.

Un problema diffuso con manifestazioni diverse

La paura degli aghi è solo una delle tante varianti di un disturbo psicologico molto diffuso, la fobia. Si tratta di una paura spropositata e spesso paralizzante nei confronti di qualcosa che razionalmente non rappresenta una minaccia. Secondo le stime (ma i dati sono dibattuti) soffre di una fobia specifica il 6 per cento circa della popolazione generale. Ne soffrirebbero, in particolare, il 5 per cento circa dei bambini e addirittura il 16 per cento degli adolescenti, il che fa pensare che il periodo della crescita rappresenti, anche da punto di vista, una fase molto delicata. Le donne sarebbero doppiamente a rischio rispetto agli uomini.

Nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (l’ultima edizione è la quinta, abbreviata in DSM-5), le fobie sono classificate in base all’oggetto della reazione fobica. Tra le fobie per gli animali sono così comprese l’aracnofobia (la paura patologica dei ragni), l’ornitofobia (degli uccelli) o l’ofidiofobia (dei serpenti). Ci sono, poi, fobie di aspetti o caratteristiche dell’ambiente naturale, come la paura dell’altezza (acrofobia) o dei temporali (brontofobia), oppure paure patologiche legate a sangue, iniezioni e ferite, di cui fa parte la paura degli aghi sopra citata.

Esistono inoltre fobie di specifiche situazioni, come per esempio il trovarsi in spazi chiusi (claustrofobia) o aperti, vasti o affollati (agorafobia). Altre fobie possono riguardare la guida di un auto (amaxofobia) o il volo (aviofobia). Una distinzione viene a volte fatta tra fobie semplici, in cui la reazione ha un unico oggetto specifico, e quelle complesse, che riguardano più elementi. Gli stimoli scatenanti possono essere i più vari: ci sono persone che hanno paure patologiche dei bottoni oppure dell’ombelico, di alcuni colori oppure di determinati numeri.

Tra le fobie percepite come più curiose da chi non ne soffre, eppure relativamente diffuse, c’è la tripofobia, scatenata dalla visione di piccoli fori ravvicinati e profondi disposti in modo regolare, come nelle spugne o nei favi delle api, spesso associata a quella di piccole escrescenze ravvicinate. Alcuni ricercatori che hanno condotto studi sulla tripofobia hanno avanzato l’ipotesi che questa repulsione possa essere collegata a ragioni evolutive, come la necessità di evitare anfratti dove si possono celare parassiti o sostanze e animali velenosi. L’interpretazione però non convince altri studiosi ed è quindi oggetto di dibattito.

Le descrizioni e le interpretazioni storiche

Le prime descrizioni delle fobie risalgono ai tempi antichi. Ippocrate, considerato il padre della medicina nel mondo greco, aveva descritto il comportamento di alcuni individui che potrebbero essere stati effetti da fobie (o da ansia sociale). Una delle persone descritte da Ippocrate evitava, per esempio, i luoghi illuminati perché si sentiva continuamente al centro degli sguardi. Sono molti anche i celebri personaggi ‒ tra cui alcuni imperatori romani ‒ che si dice fossero affetti da paure irrazionali.

Molto famosa è l’interpretazione freudiana, oggi piuttosto screditata, delle fobie. Secondo Sigmund Freud, il fondatore della psicoanalisi, le fobie possono essere affrontate interpretandone il presunto significato nascosto, che secondo lo psicanalista viennese risiederebbe nel cosiddetto inconscio e potrebbe essere associato a desideri sessuali e manifestazioni aggressive. Cercare di eliminare la reazione fobica senza comprenderne le radici sarebbe, secondo Freud, controproducente e pericoloso. Tra i più noti casi clinici freudiani legati a fobie ricordiamo quello del piccolo Hans (pseudonimo di Herbert Graf) che manifestava un forte timore dei cavalli e del loro morso. Questa paura veniva interpretata da Freud come una manifestazione del complesso edipico rivolto contro il padre. Freud ne parlò nel saggio Analisi della fobia di un bambino di cinque anni, pubblicato nel 1909. Oggi l’interpretazione di questo caso, così come, in generale, il costrutto teorico freudiano sulle fobie sono stati messi molto in discussione sul piano scientifico. In generale, nella comunità di psicologi e psicanalisti non è più condivisa l’idea che le fobie abbiano alcun valore simbolico e che la loro risoluzione debba passare attraverso il reperimento del significato nascosto e inconscio del sintomo. Ammesso che questo esista e sia recuperabile, il nesso causale pare spurio, e il controllo non necessariamente possibile.

Gestire il problema

Oggi si ritiene che all’origine delle fobie ci sia, piuttosto, un fenomeno di associazione appresa (per esempio attraverso il condizionamento classico) che innesca la reazione fobica. Questa associazione può avvenire in seguito a un evento traumatico, o può derivare dall’imitazione. Succede di frequente che genitori e figli o persone legate da rapporti affettivi condividano la stessa fobia. Una fobia può anche nascere da altre esperienze che hanno come conseguenza tale apprendimento involontario. Istintivamente la persona fobica comincia a pensare in modo ossessivo e disfunzionale all’oggetto della propria fobia (la cosiddetta rimuginazione), oppure cerca di evitare le situazioni nelle quali la fobia potrebbe scatenarsi. Quest’ultimo comportamento può avere un impatto importante sulla vita della persona fobica, poiché può indurla a evitare situazioni sociali e spazi in cui si svolge la vita quotidiana.

Con il supporto di personale specializzato, oggi è possibile intervenire su molte fobie e individuare un approccio terapeutico per limitarne i sintomi. Tra i trattamenti psicoterapeutici più efficaci possiamo ricordare la psicoterapia cognitivo-comportamentale, che si basa sull’esposizione molto graduale e guidata allo stimolo temuto, per desensibilizzare la persona e ridurre o, auspicabilmente, eliminare la reazione. Buoni risultati ha portato anche l’approccio della terapia breve strategica, che si basa sul concetto di ribaltare le tentate soluzioni istintivamente attuate dal paziente per produrre nuovi apprendimenti. Talvolta all’approccio psicoterapeutico si può aggiungere una terapia farmacologica. Negli ultimi anni alcuni psicoterapeuti hanno anche proposto l’uso di strumenti come la realtà virtuale e la gamification per simulare situazioni ansiogene legate alle fobie dei pazienti, aiutandoli così a superarle.

Anna Rita Longo
Insegnante e dottoressa di ricerca, membro del board dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM (Science Writers in Italy), socia emerita del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), collabora con riviste e pubblicazioni a carattere scientifico e culturale.
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