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Che cos’è la fibromialgia?

È stata a lungo considerata una “malattia immaginaria”, ma oggi sappiamo che non è così. Facciamo un punto su questo disturbo, diffuso in particolar modo nella popolazione femminile.

Stanchezza cronica, dolore diffuso, insonnia o sonno non ristoratore, concentrazione altalenante: difficilmente, un tempo, recandosi dal proprio medico, sarebbe stato possibile per una persona con questi sintomi ricevere una diagnosi specifica. Ma da qualche tempo a questa sindrome cronica, piuttosto comune nelle donne, è stato dato il nome di fibromialgia ed è stata descritta clinicamente. Si tratta di una sindrome che, nel mondo della ricerca e della pratica clinica, interessa discipline diverse, come la reumatologia, la neurologia, l’endocrinologia e la psichiatria, ma che anche per questo fa ancora molto discutere. Non è scontato, per esempio, che un’eventuale diagnosi di fibromialgia di un neurologo sia confermata dallo psichiatra o da altri specialisti.

La maggioranza dei pazienti riceve, infatti, una vera e propria diagnosi solo dopo lungo tempo, o talvolta non la riceve affatto, rimanendo nel dubbio della propria condizione. Questo perché l’eterogeneità e vaghezza dei segni e dei sintomi contribuisce a rendere la fibromialgia davvero complessa da rilevare per i medici. Una difficoltà non solo diagnostica, che si riflette anche negli altri nomi con cui il problema è conosciuto, tra cui sindrome fibromialgica ed encefalomielite mialgica.

Il disturbo, complesso e poco compreso, non è raro, soprattutto nella popolazione femminile: solo in Italia la fibromialgia affligge circa due milioni di persone, nel 90 per cento donne e di solito compare attorno alla mezza età (fonte dati: Registro italiano fibromialgia, Società italiana di reumatologia).

Una, nessuna, centomila

Il termine fibromialgia proviene dalla fusione del termine latino fibra con i termini greci myo, cioè muscolo, e algos, che significa dolore. La caratteristica primaria della malattia è infatti proprio il dolore, e un antecedente di questa sindrome di definizione recente è possibilmente quello che per secoli è stato chiamato reumatismo. Il termine fibrosite inizia a essere usato a inizio Novecento, mentre dal 1976 entra nel gergo medico il termine fibromialgia, per descrivere una condizione di dolore diffuso e persistente con precisi punti dolenti lungo il corpo. Nel 1981 arrivano i risultati del primo studio clinico controllato, che convalida i sintomi noti e pone le basi per la definizione dei criteri diagnostici, condivisi per la prima volta dall’American College of Rheumatology nel 1990 e aggiornati e ridefiniti nel 2010. È il 1992 quando l’Organizzazione mondiale della sanità riconosce la fibromialgia come una vera e propria malattia.

Ciò nonostante, le difficoltà a riconoscerla fanno sì che ancora oggi non è raro che chi ne soffre riceva una diagnosi non corretta o, ancor peggio, venga considerato un “malato immaginario”, come se non vi fosse nessuna malattia in corso. Questo perché ancora non esistono indicatori certi o un esame strumentale in grado di identificarla: non possiamo sapere se una persona ne è affetta attraverso le analisi del sangue o delle urine, per esempio, né con una risonanza magnetica.

Per la diagnosi si procede quindi escludendo altri disturbi che possono provocare sintomi simili, come per esempio malattie infiammatorie o disfunzioni a carico della tiroide, e ascoltando la testimonianza del paziente. Fino a qualche anno fa la routine prevedeva l’analisi manuale dei punti sensibili, i cosiddetti “tender points”, quelli dove si riscontra il dolore più acuto e che si trovano a livello muscolare, tendineo o anche osseo, ma le nuove linee guida hanno un approccio più inclusivo, analizzano il dolore in modo meno localizzato e tengono piuttosto in considerazione la sua persistenza nel tempo (minimo tre mesi).

La fibromialgia si presenta con una miriade di sintomi, con altrettanto svariate ricadute sulla qualità della vita di chi ne è affetto. Tra i sintomi, il forte e duraturo dolore muscolo-scheletrico su entrambi i lati del corpo, e da testa a piedi, può diventare debilitante e compromettere lo svolgimento delle normali attività motorie. Lo stesso vale per l’affaticamento (che può essere confuso o sovrapporsi a un’altra patologia ugualmente poco definita, la sindrome da affaticamento cronico), l’insonnia e il sonno disturbato, che porta i pazienti a un risveglio non soddisfacente anche dopo otto-dieci ore a letto e all’impossibilità di svolgere le attività prestabilite nel corso della giornata.

Tra i problemi notoriamente collegati a questa sindrome, rientra anche un deficit nell’attenzione, nella memoria e nella concentrazione, descritto dalle persone come una sorta di “nebbia” che avvolge i pensieri. Non è raro inoltre che chi soffre di sindrome fibromialgica sia anche colpito da ansia, depressione e frequenti mal di testa (nella forma di cefalea o emicrania). In questo caso, è bene ricordare che le persone affette da malattie croniche e dolorose possono andare incontro a depressione e ansia proprio a causa della difficile gestione dei sintomi: non è dunque chiara quale sia la correlazione tra la fibromialgia e le manifestazioni sul piano psicologico.

Non di rado la fibromialgia coesiste con altre condizioni, come l’artrite reumatoide, il lupus eritromatoso e la spondilite anchilosante. Altre patologie che sono state associate alla fibromialgia sono la sindrome dell’intestino irritabile, la cistite interstiziale (detta anche “dolore pelvico cronico”) e disturbi dell’articolazione temporomandibolare.

Un’origine misteriosa

Gli interrogativi in merito alla sindrome fibromialgica, che limitano ovviamente le possibilità di prevenzione e cura, sono ancora tanti, primo tra tutti la causa o più probabilmente le cause scatenanti, ancora sconosciute. L’insorgenza della fibromialgia potrebbe essere scatenata da particolari condizioni o eventi, come incidenti, traumi, particolari momenti di stress, altre malattie e anche infezioni virali. Secondo una delle ipotesi al momento più accreditate, alla base dei sintomi vi sarebbe un’alterata percezione del dolore a partire dai meccanismi che ne processano i segnali nel cervello: i pazienti, insomma, potrebbero avere in comune una soglia del dolore particolarmente bassa rispetto a chi non ne è affetto per ragioni che sono “scritte” nel sistema nervoso centrale.

Poiché capita spesso che più persone della stessa famiglia ne siano affette, è piuttosto accreditata l’ipotesi della predisposizione genetica, che potrebbe anche portare ad alterazioni nella comunicazione mediata da neurotrasmettitori coinvolti nella gestione dei segnali di dolore (come per esempio la dopamina) e ormoni.

La prevalenza così significativa nelle donne potrebbe invece essere spiegata da fattori genetici e biologici – per esempio i livelli di alcuni ormoni, come gli estrogeni, che hanno un ruolo nella modulazione dei segnali dolorosi – ma anche psicologici e socio-culturali.

Si tratta, molto probabilmente, di una malattia di origine multifattoriale, dovuta cioè a una combinazione di fattori. Inoltre, data la scarsa comprensione dell’origine della malattia e la varietà dei sintomi e delle manifestazioni, è anche possibile che la fibromialgia in pazienti diversi sia stata in realtà originata da cause diverse.

Quali opportunità di supporto

Trattandosi di un disturbo dall’origine ancora misteriosa, non esiste ancora una terapia per prevenire o curare la fibromialgia, ma diverse strategie di trattamento permettono in molti casi di convivere meglio con i suoi sintomi.

Sul fronte farmacologico, lo specialista potrà decidere di prescrivere analgesici, miorilassanti, sedativi, anticonvulsivanti e antidepressivi (una parte dei pazienti ottiene benefici con duloxetina, milnacipran e pregabalin). Ma è sempre più chiaro che per far fronte alla sindrome fibromialgica sia necessario un approccio multidisciplinare, e per questo alle pazienti si suggerisce di praticare regolarmente attività fisica (di diversi tipi), di avvalersi di un sostegno psicologico per lavorare, per esempio, sulla gestione dei livelli di stress e il rilassamento, e di intervenire sul proprio stile di vita al fine di renderlo, nell’insieme, più sano possibile.

Alice Pace
Giornalista scientifica freelance specializzata in salute e tecnologia, anche grazie a una laurea in Chimica e tecnologia farmaceutiche e un dottorato in nanotecnologie applicate alla medicina. Si è formata grazie a un master in giornalismo scientifico presso la Scuola superiore di studi avanzati di Trieste e una borsa di studio presso la Harvard Medical School di Boston. Su Instagram e su Twitter è @helixpis.
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