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Cinque cose da sapere sull’invecchiamento

Che cos’è (davvero) l’età? Cosa determina la nostra aspettativa di vita? Quali sono i segni biologici dell’invecchiamento? Facciamo il punto in occasione dell’International Day of Older Persons, la Giornata internazionale dedicata alle persone anziane.

Istituita a partire dagli anni Novanta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, l’International Day of Older Persons (la Giornata internazionale delle persone anziane), ricorre il 1° ottobre di ogni anno con l’obiettivo di porre l’accento sui diritti e sul ruolo sociale delle persone anziane. D’altronde, gli individui che rientrano in questa fascia d’età rappresentano una frazione sempre più consistente della società, soprattutto come conseguenza dell’aumento dell’aspettativa di vita media della popolazione: come ha infatti stimato l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2050 la popolazione ultrasessantenne potrebbe superare i due miliardi, con una crescita che sarà particolarmente rapida nei Paesi in via di sviluppo.

In considerazione di queste stime – e sulla base delle riflessioni stimolate dall’emergenza pandemica legata a Covid-19 –le Nazioni Unite hanno proclamato il periodo 2021-2030 il decennio per la vecchiaia in buona salute, con l’intenzione di rendere le persone più consapevoli dei numerosi fattori che concorrono al benessere psicofisico degli individui in età avanzata.

La Giornata internazionale delle persone anziane è tra le iniziative più importanti per fare il punto sulla situazione, combattere le discriminazioni legate all’età (il cosiddetto ageismo, che molto spesso si lega ad altre forme di discriminazione, come per esempio quelle legate al genere) e proseguire nell’impegno a favore dei diritti degli ultrasessantenni, molti dei quali riferiscono di trovarsi in condizioni di vita difficili. Il rapporto Passi d’Argento dell’Istituto Superiore di Sanità ha infatti evidenziato alcuni aspetti critici di questa fase dell’esistenza. La solitudine caratterizza la quotidianità di molte persone anziane (2 su 10 vivono in condizioni di isolamento sociale) e molte presentano anche problemi di salute mentale o fisica: per esempio, il 21 per cento si dichiara insoddisfatto della propria vita, il 13 per cento mostra sintomi legati alla depressione, il 71 per cento non partecipa a incontri di aggregazione sociale, il 15 per cento convive con una disabilità e il 18 per cento è in condizione di fragilità.

Ma quali sono, dal punto di vista scientifico, le conoscenze che abbiamo oggi sull’invecchiamento? Rispondiamo in cinque punti.

1. Che cos’è l’età?

“L’età è solo un numero”, recita un noto slogan. In effetti, potremmo dire che le cose stanno proprio così, perché non è affatto detto che due persone con la medesima età anagrafica abbiano pari aspettativa di vita e presentino lo stesso livello complessivo di invecchiamento. Non è però semplice determinare quale sia la cosiddetta “età biologica” di una persona; nel corso del tempo gli scienziati che studiano l’argomento hanno proposto diversi metodi, basati su diversi indicatori.

Al termine del periodo dell’adolescenza, che conclude la fase di accrescimento dello sviluppo umano, l’uomo entra nell’età adulta, caratterizzata dalla cosiddetta fase di stabilità dello sviluppo. Successivamente, in media a partire dai 65 anni d’età circa, si assiste a un progressivo deterioramento di cellule e tessuti e a un aumento delle alterazioni di diversi processi biologici. Le ricerche sull’invecchiamento hanno evidenziato alcuni meccanismi comuni tra il processo di senescenza e quello di sviluppo del cancro; di conseguenza, gli studi condotti in questi due settori sono importanti sia per cercare, per quanto possibile, di limitare i problemi collegati all’invecchiamento sia per cercare di prevenire l’insorgenza dei tumori, per molti dei quali l’età avanzata rappresenta un importante fattore di rischio.

2. Cosa determina l’aspettativa di vita?

Oltre alla predisposizione genetica, diversi fattori contribuiscono alla maggiore o minore durata della vita umana. È noto che esiste un grosso divario tra le diverse regioni del mondo, e che questo rappresenta un’enorme problema di giustizia sociale e determina le marcate differenze nella speranza di vita nei vari Paesi. In Europa l’aumento della speranza di vita che si è verificato soprattutto a partire dal XX secolo è strettamente legato al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, a una maggiore disponibilità di cibo, a fattori come la diminuzione del carico di lavoro fisico, al progresso nelle conoscenze mediche e scientifico-tecnologiche e all’accesso alle cure.

Anche all’interno dei Paesi più sviluppati, la disponibilità economica determina un aumento della speranza di vita: le persone più ricche tendono a vivere più a lungo rispetto a quelle povere, che hanno tassi più elevati di mortalità collegata ad alcune malattie comuni, abitudini e comportamenti generalmente meno sani e minor accesso a cure di qualità (anche se, a questo riguardo, i dati provenienti da diversi studi  mostrano alcune contraddizioni).

Anche il grado di istruzione influisce sulla speranza di vita perché facilita l’accesso a informazioni corrette su come mantenersi in salute.

La pandemia Covid-19 ha avuto un impatto notevole sull’aspettativa di vita: nel 2020 diversi studi hanno messo in evidenza un aumento dei decessi e delle morti premature in tutti i Paesi nei quali sono stati esaminati i dati, ma, negli anni successivi, l’elevata copertura vaccinale e le misure di contenimento hanno ridotto significativamente la mortalità in diversi Paesi.

3. Quali sono i segni biologici dell’invecchiamento?

Sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, è oggi possibile individuare i principali marcatori biologici dell’invecchiamento. Nel 2013, un celebre articolo a firma di Carlos López-Otín e collaboratori, dell’Istituto di oncologia dell’Università di Oviedo, considerato ancora oggi una base importante per gli studi sull’invecchiamento, ha elencato i nove segnali che determinano la senescenza: l’instabilità genomica, ossia la tendenza del DNA ad accumulare mutazioni e alterazioni strutturali; il logoramento dei telomeri (cioè la porzione terminale dei cromosomi), da lungo tempo collegati a longevità e senescenza; le alterazioni epigenetiche, cioè le modificazioni ereditabili che non alterano la sequenza del DNA ma riguardano l’espressione dei geni; l’alterazione nel processo di proteostasi, l’omeostasi delle proteine, collegata anche ad alcune malattie neurodegenerative; l’alterazione della regolazione metabolica; la disfunzione dei mitocondri, che sovrintendono alla produzione di ATP, il composto che viene usato in tutti i processi cellulari che richiedono energia; la senescenza cellulare; l’esaurimento delle cellule staminali, che sono coinvolte nella riparazione dei tessuti danneggiati; e, infine, l’alterazione della comunicazione tra le cellule. I processi che caratterizzano il nostro invecchiamento sono, in ultima analisi, il risultato della somma di questi elementi.

4. È possibile fare qualcosa per mantenersi giovani?

Nel corso del tempo, le ricerche hanno messo in luce alcune strategie, rappresentate soprattutto da una sana alimentazione e da attività fisica, che possono contribuire a correggere i problemi metabolici indotti dall’età e a ridurre l’azione dei nove marcatori della senescenza di cui abbiamo parlato. Sebbene gli studi dedicati alle strategie anti-invecchiamento siano stati condotti soprattutto su animali da laboratorio, è ormai chiaro che seguire una dieta sana e fare regolarmente esercizio fisico sia il mezzo più efficace per limitare i problemi legati all’età, contribuendo, inoltre, alla salute psicofisica.

5. Perché è importante combattere l’abitudine al fumo anche negli anziani?

Le statistiche riportano che in Italia l’11 per cento delle persone sopra i 65 anni è un fumatore. Questa abitudine, estremamente dannosa a tutte le età, contribuisce significativamente a diminuire l’aspettativa di vita negli anziani. Rispetto ai non fumatori, chi fuma ha infatti una maggiore probabilità di morte prematura morire prematuramente, perché il tabagismo costituisce un fattore di rischio per diverse malattie, molte delle quali peggiorano con l’avanzare dell’età; inoltre, il fumo altera diversi processi cellulari direttamente collegati all’invecchiamento. Per una vita lunga e in buona salute è quindi fondamentale rinunciare a questa dannosa dipendenza, se necessario ricorrendo all’aiuto di un professionista.

Anna Rita Longo
Insegnante e dottoressa di ricerca, membro del board dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM (Science Writers in Italy), socia emerita del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), collabora con riviste e pubblicazioni a carattere scientifico e culturale.
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