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Dal DNA delle cozze possibili chiarimenti sulla forte capacità di sopravvivenza di questi animali in ambienti ostili alla vita

La particolare “architettura” del genoma del Mytilus galloprovincialis, la cozza comune nei nostri mari, potrebbe aiutarci a comprendere come questi animali abbiano sviluppato le loro straordinarie e notorie capacità di sopravvivenza. I risultati sono stati ottenuti in uno studio recente condotto in collaborazione tra l’Italia e la Spagna.

La cozza mediterranea (Mytilus galloprovincialis) è una specie invasiva, estremamente resistente all’attacco di microrganismi patogeni, e diversamente da molti bivalvi suoi simili è sopravvissuta a molteplici cambiamenti ambientali, come le variazioni della temperatura dell’acqua e l’esposizione a diversi tipi di contaminanti. La specie è un esempio di resilienza, una caratteristica che è spesso associata a un’alta variazione genetica all’interno delle popolazioni, ma i cui meccanismi biologici non sono ancora del tutto chiariti.

I recenti risultati di uno studio individuano nel genoma di organismi di questa specie caratteristiche insolite, con geni altamente variabili che potrebbero essere responsabili proprio delle funzioni legate alle strategie di sopravvivenza. I ricercatori, al lavoro in Italia presso l’università di Trieste e di Padova e in diversi istituti di ricerca dislocati tra Vigo e Barcellona, in Spagna, hanno sequenziato l’intero genoma dell’animale e le implicazioni dei risultati potrebbero riguardare non solo il settore dell’acquacoltura (con ricadute, naturalmente, sulla filiera alimentare), ma anche la medicina. Se infatti si riuscisse a replicare meccanismi come questo in altre specie, ciò potrebbe forse contribuire al trattamento e alla cura di alcune malattie. I risultati dello studio sono stati pubblicati a novembre 2020 sulla rivista Genome Biology.

Dietro le quinte della ricerca

Gli autori dello studio hanno analizzato i ben 65mila geni delle cozze, distinguendoli in due categorie: la prima formata da circa 45mila geni condivisi dalla maggioranza gli individui studiati, e la seconda da una minoranza di 20mila geni che i ricercatori hanno definitodispensable”, cioè superflui, e che in alcuni esemplari possono non essere presenti, in parte o anche del tutto.

Questa seconda categoria sembra essere quella responsabile delle funzioni legate alle strategie di sopravvivenza, il che potrebbe spiegare la spiccata capacità di adattamento di questi animali alle difficoltà.

Questa particolare “architettura” genomica è stata per gli scienziati in grossa parte una sorpresa: che all’interno di una stessa specie vi fossero infatti esemplari con un 20 per cento del genoma differente gli uni dagli altri era sembrato così incredibile che in una prima fase della ricerca si era valutata persino l’ipotesi che il dato fosse frutto di un errore. Per escludere questa ipotesi, i ricercatori hanno analizzato e confrontato il genoma di 14 esemplari di Mytilus di popolazioni diverse e non collegate tra loro, provenienti sia da acque italiane sia della Galizia: il risultato è stato confermato.

A tu per tu col pangenoma

Quello che risulta da questo studio sulle cozze si può anche definire come pangenoma, ovvero il materiale genetico complessivo che può essere presente in tutti i ceppi di uno stesso tipo (o clade) di specie vivente. Il termine ha origine dal greco pan, a significare tutto, e appunto genoma, il complesso dei cromosomi di un singolo organismo. Il concetto di pangenoma, coniato in un celebre articolo del 2005, è nato per descrivere l’insieme dei genomi di particolari specie di virus e batteri, allo scopo di identificare le porzioni comuni a tutti i ceppi, per esempio per sviluppare vaccini o terapie più efficaci.

Negli organismi eucarioti, il pangenoma è stato studiato finora prevalentemente nelle piante, nei funghi e nelle microalghe, sempre alla ricerca dei fattori connessi alle strategie di adattamento all’ambiente e resistenza alle malattie.

Ma sono davvero pochi gli studi di questo tipo che riguardano animali, e questo, sulle cozze del Mediterraneo, è il primo che fornisce prove consistenti a sostegno del nesso tra un particolare sistema di geni e lo sviluppo di strategie di sopravvivenza. Saranno necessarie però ulteriori indagini per comprendere in maggiore dettaglio i fattori che determinano la resistenza ai cambiamenti ambientali e regolano, per esempio, la risposta immunitaria nelle cozze. In particolare, determinare i fattori responsabili delle particolari proprietà antibatteriche e antivirali potrebbe offrire agli scienziati strumenti e strategie per prevenire e curare più efficacemente anche le malattie infettive che colpiscono gli esseri umani.

Alice Pace
Giornalista scientifica freelance specializzata in salute e tecnologia, anche grazie a una laurea in Chimica e tecnologia farmaceutiche e un dottorato in nanotecnologie applicate alla medicina. Si è formata grazie a un master in giornalismo scientifico presso la Scuola superiore di studi avanzati di Trieste e una borsa di studio presso la Harvard Medical School di Boston. Su Instagram e su Twitter è @helixpis.
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