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Epidemie vegetali

Anche le piante hanno i loro problemi di salute su larga scala. Dal virus del mosaico del tabacco alla peronospora, dalla fillossera a Xylella, parliamo di alcune delle malattie che più hanno segnato la storia vegetale. E di quali strategie si studiano per prevenire e mitigare questi fenomeni.

Le piante si ammalano come gli esseri umani e gli altri animali. Capita anche che le malattie che le colpiscono, se si diffondono in modo esteso in una determinata zona, possano diventare delle epidemie. A causare queste malattie possono essere insetti, acari, funghi, batteri, virus o parassiti vari (comprese le piante che prosperano a spese di altre piante). I vari organismi in grado di infettare le piante possono causare le malattie direttamente o perché sono vettori di patogeni che sono così trasportati di pianta in pianta.

Nella storia alcune malattie delle piante hanno avuto un impatto molto forte, in alcuni casi addirittura tragico, sulle popolazioni che di quelle piante facevano largo uso. Si tratta soprattutto delle malattie che hanno colpito specie largamente impiegate nell’alimentazione e nell’agricoltura.

La peronospora, nemica di molte colture

Tra le malattie che hanno seminato più terrore nel corso della storia dell’agricoltura c’è senza dubbio la peronospora. Il nome è un termine collettivo per diversi tipi di malattia che colpiscono colture differenti causando problemi simili. Peronospora è anche il nome di un genere di organismi unicellulari che fanno parte del regno dei cromisti (in passato classificato all’interno dei funghi). Questi possono essere responsabili della malattia così come organismi di altri generi, come Plasmopara, Pseudoperonospora, Bremia, Phytophthora, Sclerospora. Il segno più caratteristico della peronospora sono piccole macchioline sulle foglie di un verde più chiaro o giallastre, dovute alla presenza di aree depigmentate, seguite dal disseccamento e da una notevole diminuzione della produzione di fiori e frutti.

Un’epidemia di questa malattia causò la grande carestia del 1845-1849 che colpì l’Irlanda: Phytophthora infestans attaccò infatti le piante delle patate, che erano alla base dell’alimentazione di gran parte della popolazione, soprattutto quella più povera che abitava le campagne. A causa della perdita di una parte considerevole del raccolto, morì circa un milione di persone e due milioni di sopravvissuti emigrarono in altri paesi, secondo le stime.

A Plasmopara viticola è invece dovuta la peronospora della vite, che mette ciclicamente in pericolo la produzione vinicola e la cui diffusione è favorita dalle temperature primaverili e dall’umidità. Oggi la peronospora viene tenuta sotto controllo con una serie di principi attivi, dai sali di rame ad altri prodotti che limitano e ostacolano l’azione del patogeno, oltre che attraverso l’uso di vitigni resistenti.

La fillossera: un insetto devastante

Sempre la vite, ma anche altre piante come per esempio querce, lecci e peri, sono le vittime principali della fillossera, un piccolo insetto che rientra nella categoria degli afidi e fa parte dei cosiddetti fitomizi, cioè delle specie che si nutrono della linfa delle piante. La fillossera della vite (Daktulosphaira vitifoliae) è la specie più famosa; giunse in Europa nella seconda metà dell’Ottocento dall’America, dove il processo di coevoluzione aveva fatto sì che si fosse progressivamente creato un certo equilibrio tra fillossera e viti locali, le quali non subivano gravi danni dalla presenza del parassita. Ben diversa è stata la situazione in Europa, dove tale organismo “alieno” (alloctono in gergo) ha incontrato varietà di vite “impreparate” a controllare l’aggressione. Secondo le stime, l’80 per cento circa delle viti è andato distrutto. In Italia i primi attacchi di fillossera alle viti sono stati segnalati nel 1879, vicino a Lecco.

La principale strategia di difesa contro questo insetto si basa sull’uso di varietà di vite resistenti. La vite europea è stata a questo scopo innestata sulle radici di quella americana, dal momento che sono proprio le radici la parte della pianta che subisce i danni peggiori da parte della fillossera. Sono, inoltre, state studiate strategie di lotta integrata e biologica, che sfruttano soprattutto la capacità di alcuni insetti presenti nell’ecosistema del vigneto di controllare o limitare l’azione di quelli dannosi, fillossera compresa. Si studiano anche le interazioni di questo insetto con altri organismi come batteri, nematodi e funghi.

Il virus del mosaico del tabacco

Come l’emergenza pandemica di Covid-19 contribuisce ogni giorno a ricordarci, i virus sono tra gli agenti patogeni più temuti e difficili da contrastare. Lo studio dei virus ha ricevuto un forte impulso proprio dalle ricerche riguardanti un’epidemia vegetale che stava devastando le coltivazioni di tabacco in Olanda e nella regione storica della Bessarabia (oggi un territorio che si trova tra Ucraina e Moldavia). La malattia prendeva il nome di “mosaico” per via delle caratteristiche macchie che provoca sulle foglie e che possono ricordare le decorazioni musive. Era fortemente contagiosa e si diffondeva sia per contatto sia, in misura minore, con l’aiuto di insetti vettori, come gli afidi.

La malattia determina un danneggiamento dei cloroplasti e dell’attività degli enzimi coinvolti nella fotosintesi, facendo deperire rapidamente le piante infette. Il botanico russo Dmitrij Ivanovskij (1864-1929) comprese che questa patologia era causata da un agente patogeno molto più piccolo di un batterio, che venne poi chiamato “virus” (parola latina che significa veleno) in seguito agli studi del batteriologo olandese Martinus Beijerinck (1851-1931). Un contributo importante agli studi sul virus del mosaico del tabacco venne anche da Rosalind Franklin, la cristallografa nota per il fondamentale contributo alla scoperta della struttura a doppia elica della molecola di DNA, scarsamente riconosciuto mentre lei era in vita.

La strategia più efficace di contrasto del virus è rappresentata dall’uso di varietà resistenti, ma è stata anche sperimentata una sorta di vaccinazione attraverso la pratica della “cross protection”, con l’inoculo di virus inattivato.

Xylella fastidiosa, il batterio che ha colpito gli olivi pugliesi

Tra le più drammatiche epidemie vegetali che hanno coinvolto il nostro Paese, c’è quella, tuttora in corso, che ha colpito gli oliveti del Salento. Il contagio, originatosi in una zona vicina a Gallipoli, si è fatto lentamente strada verso la parte settentrionale della Puglia, mettendo in serio pericolo la produzione delle aziende olivicole del barese, che forniscono olio di alta qualità a tutta la penisola e non solo. L’agente patogeno che causa la malattia è un batterio “polifago”, cioè in grado di infettare una grande varietà di specie vegetali. Si chiama Xylella fastidiosa, è originario del continente americano ed è legato a gravi fitopatologie, come per esempio la “malattia di Pierce”, che causò la distruzione dei vigneti californiani alla fine del XIX secolo, e la clorosi variegata degli agrumi sudamericani.

Il contagio avviene tramite gli insetti che si nutrono di linfa grezza. Questi inglobano il batterio mentre si nutrono e lo trasferiscono ad altre piante sulle quali si posano. Nel caso degli oliveti pugliesi, la principale responsabile è la cosiddetta sputacchina dei prati (Philaenus spumarius), la cui popolazione risulta particolarmente abbondante nel Salento. L’arrivo del batterio in Europa è legato a una falla nei controlli di sicurezza sulle esportazioni di piante, che prevedono misure volte a contenere pericoli di questo tipo. Si ritiene che il contagio, scoperto alla fine del 2013, risalga a circa il 2008 e sia stato dovuto a una pianta di caffè ornamentale infetta proveniente dalla Costa Rica e transitata attraverso il porto di Rotterdam, un importante snodo commerciale.

Fino all’arrivo del batterio nel Salento non erano mai stati segnalati attacchi del patogeno contro l’olivo, che è purtroppo la coltura sulla quale si regge una grossa parte dell’economia pugliese. E non sono note vere e proprie cure contro questa grave malattia, per cui gli sforzi principali si sono concentrati finora sul suo contenimento, per evitarne la diffusione nelle zone in cui la produzione di olio ha un particolare rilievo come quelle del barese. Sono in sperimentazione diverse strategie di monitoraggio e diagnosi precoce (anche con l’aiuto di cani molecolari e droni), mentre procedono gli studi sulle varietà resistenti, che però necessitano di tempi lunghi.

Altre minacce alla salute delle piante

Tra i molti altri esempi di minacce per la salute delle piante che è possibile citare, vi è quello del moscerino asiatico Drosophila suzukii, che, al contrario del comune moscerino della frutta, può attaccare anche i frutti non marcescenti e ha causato notevoli problemi ai produttori del Nord Italia, soprattutto per quanto riguarda le coltivazioni di piccoli frutti. Contro i suoi attacchi sono in sperimentazione alcune strategie di controllo a basso impatto ambientale, come trappole che attirano gli esemplari, oltre all’uso di insetticidi.

Il punteruolo rosso, anch’esso originario dell’Asia, è invece causa della distruzione di molte specie di palma, così come la cimice asiatica, presente in alcune regioni italiane, tra cui l’Emilia-Romagna, il Trentino-Alto Adige e la Lombardia. Per contrastarla si sta sperimentando la lotta biologica attraverso la vespa samurai, un parassitoide di questo insetto dannoso.

Anna Rita Longo
Insegnante e dottoressa di ricerca, membro del board dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM (Science Writers in Italy), socia emerita del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), collabora con riviste e pubblicazioni a carattere scientifico e culturale.
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