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Pellagra, una malattia della povertà

All’inizio del Novecento la causa della pellagra era ancora un mistero. Molti sospettavano che fosse di origine infettiva e ci vollero gli originali studi di un epidemiologo statunitense, William Goldberger, per chiarire che si trattava di una grave carenza nutrizionale, a sua volta legata alla povertà. Ma il suo lavoro non venne accettato.

È stato il medico Francesco Frapolli a battezzare ufficialmente la malattia, adoperando una parola già usata nel dialetto lombardo: pellagra, composta da pelle e agra, ovvero pelle ruvida. Era il 1771, e da allora la malattia è chiamata così in molte parti del mondo. Ma di che cosa si tratta? Nei testi anglosassoni si trova spesso scritto che è caratterizzata da 4 D, 4 parole che in inglese iniziano per “d”: diarrhea, dermatitis, dementia, and death, cioè dermatite, diarrea, demenza e morte. Oggi nei paesi più ricchi è praticamente scomparsa, ma fino alla metà del Novecento numerose epidemie di pellagra hanno colpito l’Italia, altri Paesi europei e gli Stati Uniti meridionali.

Le molte teorie sull’origine della pellagra

La malattia sembrava associata al consumo di mais, che per le popolazioni colpite era la principale fonte alimentare. Prima di diventare famoso come criminologo, nel corso dell’Ottocento, Cesare Lombroso aveva proposto che la pellagra dipendesse da una tossina prodotta da microrganismi che si sviluppavano sui cereali mal conservati. Altri, come il medico italo-inglese Louis Sambon, sostenevano che potesse essere dovuta a un patogeno con un meccanismo di trasmissione simile a quello che provoca la malaria: nel caso della pellagra, si sarebbe trattato di un protozoo trasmesso da una mosca ematofaga del genere Simulium. C’erano poi studiosi che si affidavano ancora alla teoria del miasma, e pensavano che la malattia fosse dovuta a sostanze tossiche che si sprigionavano nell’aria da materia organica in decomposizione. Ma c’era anche chi sospettava una carenza nutrizionale, notando che il mais aveva pochissime proteine. Eppure, anche prima dell’introduzione del mais, introdotto in Europa da Cristoforo Colombo alla fine del XV secolo, la dieta delle popolazioni rurali non era ricca di alimenti proteici. Insomma, all’inizio del Novecento il dibattito sulle cause della pellagra era ancora più vivo che mai.

Chi aveva sospettato una carenza nutrizionale aveva visto giusto, ma le proteine non c’entravano. Nel 1937 si scoprì che all’origine c’era la carenza di vitamina B3 (niacina) o del suo precursore, l’amminoacido triptofano. La vitamina, chiamata anche PP (dall’inglese preventing pellagra) nel mais non è molto biodisponibile, cioè non si trova in una forma che può essere utilizzata dal corpo umano. Ma più di 20 anni prima un epidemiologo americano aveva provato in maniera sperimentale che la pellagra era causata da un’alimentazione inadeguata, e che quindi si poteva prevenire. Il suo nome era Joseph Goldberger.

La pellagra si diffonde

Nel 1907 il medico George H. Searcy pubblicò i risultati dello studio che aveva compiuto su un’epidemia di pellagra in Alabama. Era la prima volta che la malattia veniva riconosciuta ufficialmente negli Stati Uniti. Sembra paradossale, dal momento che il mais era coltivato da molti millenni nelle Americhe. I nativi americani però lo preparavano, e lo preparano tutt’ora, in modo diverso dalla tradizione di origine europea. Prima della macinazione i chicchi sono bolliti in acqua alcalina, un processo chiamato nixtamalizzazione. Questo rende il mais più lavorabile, ne esalta il sapore, e allo stesso tempo libera anche molti nutrienti, rendendoli assimilabili, tra cui l’essenziale vitamina B3. I coloni americani e gli europei, invece, lavoravano il mais come gli altri cereali, senza la bollitura in acqua alcalina che era considerata una complicazione.

In Europa, i primi casi di pellagra furono descritti in Spagna dal medico Gaspare Casal di Oviedo nel 1735, con il nome di “mal de rosa”. Dalla fine del Settecento i casi si diffusero poi in altri Paesi in cui i più poveri consumavano prevalentemente mais, come l’Italia settentrionale e le parti delle odierne Polonia e Ungheria che all’epoca erano sotto la dominazione austro-ungarica.

Negli Stati Uniti il consumo di mais senza nixtamalizzazione diventò pericoloso per le popolazioni solo quando la dieta si impoverì di altri alimenti. Nel Sud successe soprattutto alla fine dell’Ottocento, quando i contadini furono incentivati a coltivare tutta la terra disponibile con il cotone. Scomparvero così ortaggi e altri alimenti freschi a buon mercato, fonte di vitamina B3, e la popolazione più povera cominciò la cosiddetta dieta delle 3 M a base di cornMeal, Molasses and fat Meat, ossia di farina di mais, melassa (dalla canna da zucchero) e carne di maiale conservata. La farina di mais, inoltre, era importata dal Midwest, dove con i mulini si cominciava a degerminare il chicco, cioè a rimuovere la parte oleosa del seme. Questo processo aumenta la conservabilità della farina, ma riduce ulteriormente la niacina disponibile. L’epidemia del 1907 in Alabama era solo il principio.

Joseph Goldberger indaga

Nel 1914 il Congresso degli Stati Uniti cominciò a preoccuparsi della diffusione della pellagra e chiese al Surgeon general dello U.S. Public Health Service, il medico che negli Stati Uniti ha le funzioni di ministro della salute, di indagare sul fenomeno. L’incarico fu assegnato a Joseph Goldberger, un brillante epidemiologo che aveva combattuto epidemie di tifo, febbre gialla, dengue, e che più di una volta si era ammalato facendo il proprio dovere. Goldberger cominciò a notare alcuni indizi. Nelle carceri, negli orfanotrofi e negli ospedali psichiatrici la pellagra colpiva solo le persone internate, mentre il personale non si ammalava. Sembrava dunque difficile che fosse contagiosa. Goldberger notò anche che il personale sanitario era sempre meglio nutrito rispetto ai detenuti, agli orfani e ai malati.

Qualche anno prima, Goldberger aveva tentato di capire se la pellagra potesse essere trasmessa alle scimmie, senza risultati. Convinto che il problema fosse la dieta, lo scienziato passò agli studi con gli esseri umani. Scelse due orfanotrofi e un ospedale psichiatrico in Georgia, e fece in modo che tutti i bambini e i pazienti di due reparti dell’ospedale cominciassero a essere nutriti con alimenti freschi, latte, carne, uova, legumi. Dopo un anno tutti i bambini tranne uno erano guariti dalla pellagra, e così era successo anche ai pazienti dei due reparti dell’ospedale psichiatrico. Negli altri reparti, invece, la pellagra era più presente di prima.

Sembrava aver trovato una cura per la pellagra, ma non bastava: voleva dimostrare sperimentalmente che una persona poteva ammalarsi a causa della dieta. Decise di provare con un gruppo di 12 detenuti condannati ai lavori forzati in Mississipi, che furono nutriti con polenta fritta (“fried mush”), biscotti, melassa, patate dolci, pane di mais, sugo di carne. A differenza degli altri detenuti, durante la sperimentazione non ricevettero mai cibi freschi.

All’inizio i prigionieri erano contenti: avevano celle individuali (per evitare un possibile contagio) e potevano mangiare a volontà. Ma poi gli effetti della dieta cominciarono a farsi sentire, e dopo sei mesi metà di loro si ammalò di pellagra. Erano volontari, e avevano acconsentito in cambio della grazia, ma naturalmente si tratta di un esperimento che oggi sarebbe eticamente inaccettabile.

Le “feste del sudiciume” di Goldberger

Nel 1915 Goldberger aveva risolto il mistero della pellagra: non era una malattia contagiosa e non era causata dal mais in sé, ma da una dieta sbilanciata favorita a sua volta dalla povertà. Molti però non accettarono ciò che Goldberger aveva messo in luce. Sembrava impossibile che la soluzione fosse così semplice, e che fosse sfuggita ad altri ricercatori preparati quanto Goldberger. Il suo avversario più agguerrito fu il professor Ward J. MacNeall, il quale, come molti, riteneva che la pellagra fosse infettiva. A suo parere per combatterla servivano interventi di sanità pubblica (acqua potabile, fognature e così via) e non un cambio di dieta. Ma le critiche erano anche di natura “politica”: non era accettabile che un medico del Nord (Goldberger, di origine ungherese, aveva studiato a New York) mettesse sotto accusa lo stile di vita del Sud.

Per convincere gli scettici, nel 1916 Goldberger fece un ultimo, estremo, esperimento. Cominciò a farsi iniettare nel braccio sangue di malati di pellagra, e così fecero altri volontari, tra cui la moglie e altri medici. Mischiò frammenti di pelle, urina e feci con la farina e preparò per tutti delle piccole pillole da inghiottire. Prelevò con un tampone le secrezioni nasali e della gola di un malato e poi le strofinò nel proprio naso e in quello degli altri. Per ben 7 volte Goldberger ripeté l’esperimento e nessuno si ammalò di pellagra. Ma nemmeno queste feste del sudiciume (in inglese, filth parties) riuscirono a convincere tutti. Il governo statunitense non agì mai per migliorare la dieta dei poveri degli Stati Uniti meridionali, ma nemmeno seguì le indicazioni di MacNeall per migliorare le condizioni igieniche. Entrambi gli interventi avrebbero prevenuto diverse malattie e salvato molte vite.

Verso la scomparsa della pellagra

La pellagra negli Stati Uniti cominciò a recedere a partire dagli anni Trenta: da una parte la depressione economica fece collassare l’economia del cotone, dall’altro cominciarono programmi per cui alimenti comuni venivano integrati con vitamine. Nel frattempo, in Europa la pellagra era già in diminuzione, probabilmente perché i progressi avvenuti in agricoltura avevano consentito di abbassare i prezzi degli alimenti e molte persone potevano dunque permettersi una dieta più varia. In Italia, per esempio, la pellagra scomparve quasi completamente dopo la Prima Guerra Mondiale grazie alle migliori condizioni economiche dei contadini, che iniziarono a mangiare anche carne, latte, pesce e verdura oltre agli abituali pane e mais.

Goldberger morì nel 1929 a causa di un tumore ai reni, a 54 anni, prima che fosse identificato lo specifico nutriente la cui carenza era responsabile della pellagra. Non riuscì neppure a vedere i suoi studi accettati dalla comunità scientifica e politica. Ebbe comunque numerosi estimatori, che lo candidarono diverse volte al premio Nobel.

Purtroppo la pellagra è ancora un problema in alcune regioni dell’India, della Cina e dell’Africa, e può emergere anche nel corso di crisi umanitarie.

Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.
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