Il nervo vago è composto da circa 100.000 fibre che percorrono in lungo e in largo il nostro corpo e ci aiutano a percepire come sta.
A volte il nostro corpo manda segnali inequivocabili: quel nodo alla gola che si manifesta nel momento in cui siamo estremamente ansiosi, oppure le cosiddette “farfalle” nello stomaco, sensazione tipica di quando sta nascendo un nuovo amore. Questa capacità di percepire ciò che sta accadendo nel nostro corpo è chiamata dai neuroscienziati “interocezione”, ed è ben diversa dai segnali provenienti dall’esterno e percepiti tramite i cinque sensi. Questi ultimi ci permettono di conoscere una parte di ciò che accade nel mondo esterno, grazie a specifici neuroni che trasformano gli stimoli per esempio luminosi, sonori o di pressione in segnali chimici ed elettrici, interpretati poi dal nostro cervello.
Per l’interocezione, o percezione interna, non disponiamo di 5 sensi, ma di fibre nervose che comprendono almeno 100.000 neuroni, di cui oggi sappiamo parecchie cose, grazie a decenni di studi. Il fascio di fibre nervose parte dal cervello e si estende non solo in gran parte degli organi, ma anche nelle aree cerebrali impegnate nelle funzioni cognitive superiori. Complessivamente queste fibre compongono il cosiddetto nervo vago, il cui funzionamento è almeno in parte ancora misterioso.
Che cos’è il nervo vago
Il nervo vago è il più lungo e complesso dei nervi cranici. Curiosamente, il suo nome deriva dal latino vagus, “vagabondo”. Questo nervo, infatti, ha inizio in una zona molto profonda e antica del cervello, il tronco encefalico, e percorre il corpo in lungo e in largo: invia fibre motorie, che attivano muscoli, e riceve fibre sensoriali, che catturano informazioni da organi come il cuore, i polmoni, l’apparato gastrointestinale, le orecchie, la laringe e la faringe. Fa parte del sistema nervoso autonomo, quella parte dei circuiti neurali che regola aspetti della nostra vita senza che occorra un nostro controllo, come la respirazione, il battito cardiaco, la digestione e così via.
Fino a qualche anno fa, si pensava che il nervo vago si limitasse a gestire questi processi automatici. Oggi sappiamo che alcune delle sue fibre (circa il 10-20 per cento) si arrampicano anche al di sopra del tronco encefalico, influenzando aree del cervello responsabili di elaborazioni più complesse, come il pensiero, la memoria e forse anche la coscienza. Inoltre il nervo vago è responsabile della trasmissione agli organi di impulsi generati in queste aree cerebrali. Dunque il nervo vago non solo monitora ciò che accade nel corpo, ma può avere anche un ruolo nella gestione dello stress, nel modo in cui ricordiamo un evento oppure nelle emozioni che proviamo.
Studiare il nervo vago
Come si può studiare il nervo vago? Per capire come funziona il sistema nervoso, la ricerca neuroscientifica usa spesso la strategia della stimolazione e registrazione neuronale: si dà un impulso in una particolare area con una piccola scarica elettrica e si osserva l’eventuale reazione, registrando allo stesso tempo le attivazioni nelle aree cerebrali coinvolte. Questo metodo è stato usato, per esempio, per scoprire che, stimolando la corteccia motoria – un’area che va da una tempia all’altra, passando per il punto più alto del nostro capo –, si possono muovere tutti i muscoli del corpo; o anche che, invece, attivando la corteccia somatosensoriale, posizionata di fronte a quella motoria verso la nuca, si generano sensazioni tattili sulla nostra pelle.
Stimolando il nervo vago è stato però molto difficile individuare una corrispondenza precisa e affidabile tra sensazioni e organi, perché le nostre percezioni di ciò che accade dentro di noi sono ambigue e sfumate.
Nuove scoperte sul nervo vago
Uno dei metodi più ingegnosi per studiare l’attività di questo nervo, sviluppato negli ultimi anni, prevede di far ingoiare una piccola capsula vibrante a un individuo che riferisce poi le proprie sensazioni durante il passaggio della capsula stessa lungo il tratto gastrointestinale. Tramite un elettroencefalogramma, i ricercatori possono controllare ciò che avviene nello stesso momento in alcune aree del cervello.
Con altre tecniche l’attività del nervo vago è stata studiata anche in animali di laboratorio, scoprendo così ulteriori dettagli sulle sue funzioni.
In uno studio i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, per esempio, ricercatori dell’università di Pittsburgh hanno indagato l’influenza del nervo vago sullo stomaco dei ratti. Su quest’organo agirebbero diverse aree cerebrali grazie a fibre discendenti e ascendenti del vago: da un lato, stimoli che originano nello stomaco arrivano a una particolare area del cervello comune a tutti i mammiferi, chiamata insula e capace, tra le altre cose, di stimolare la digestione. Dall’altro lato, invece, segnali che provengono dalla corteccia motoria fermano la produzione di acidi e la contrazione dei muscoli che facilitano il processo digestivo. Secondo gli autori, disturbare queste connessioni – distruggendole fisicamente come nei loro esperimenti, o semplicemente alterandole a causa dello stress – potrebbe rendere difficoltosa la digestione e favorire la proliferazione di batteri che causano ulcere allo stomaco.
L’impatto delle fibre del vago sulla nostra vita non finisce qui, perché questo nervo potrebbe avere un’azione importante anche nel guidare la nostra motivazione a mangiare. Alcune cellule che percepiscono i nutrienti all’interno dell’intestino dei topi sono, infatti, collegate al cervello proprio grazie al nervo vago. Secondo i risultati di uno studio americano, pubblicati sulla rivista Cell, la stimolazione di queste vie nervose innesca il rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore coinvolto nel promuovere comportamenti positivi. Questo meccanismo potrebbe essere tra quelli coinvolti nella sensazione positiva che si prova dopo aver mangiato e avere, di conseguenza, un ruolo in alcuni disturbi alimentari.
L’asse tra cervello e apparato digerente potrebbe essere coinvolto anche nella formazione dei ricordi. I risultati di uno studio dell’università della California, pubblicati sulla rivista Frontiers in Molecular Neuroscience, hanno dimostrato che, in animali di laboratorio, l’interruzione del collegamento vagale tra lo stomaco e l’ippocampo, una regione cerebrale cruciale per la memoria, può rendere più difficile ricordare nuovi oggetti o posizioni spaziali.
Altre ricerche suggeriscono che il nervo vago potrebbe essere coinvolto anche nello sviluppo di dipendenze, nella modulazione del sistema immunitario, nella regolazione dell’infiammazione e nelle alterazioni dell’umore.
Centrare il bersaglio
Per gli scienziati, il nervo vago potrebbe rappresentare un potenziale bersaglio per trattare diversi disturbi. Basti pensare infatti che negli Stati Uniti sono state approvate terapie che prevedono l’impianto di apparecchi che stimolano elettricamente il nervo vago per curare i sintomi di alcuni tipi di epilessia e depressione (dal 1997 e dal 2005, rispettivamente). Dallo scorso agosto, sempre negli Usa, la stimolazione vagale può anche essere utilizzata per la riabilitazione in seguito a ictus in determinate aree del cervello. Questo tipo di stimolazione avviene tramite un piccolo apparecchio che viene inserito chirurgicamente sotto la pelle, nella parte superiore del torace, e che manda segnali elettrici al nervo vago all’altezza del collo.
Nel caso dell’epilessia, grazie a leggere scariche durante il giorno e ad altre più intense rilasciate ai primissimi segnali di una crisi, si è osservato che è possibile controllare quelle “tempeste nervose” che causano gli attacchi epilettici, riducendone intensità, durata e tempo di recupero. L’effetto terapeutico potrebbe essere dovuto al disturbo arrecato dalla stimolazione alla sincronia dei neuroni. Lo stesso apparecchio potrebbe essere utile anche per trattare la depressione, anche se il meccanismo d’azione sembra meno chiaro e la discussione sulla reale utilità continua. È bene infatti ricordare che questo tipo di interventi sono consigliati solamente per alcune persone e in generale sono l’ultima risorsa cui ricorrere, dopo che ogni intervento farmacologico o di altro tipo si è rivelato inutile, anche perché l’intervento non è esente da effetti collaterali, come raucedine, dolori alla gola, tosse e respiro corto.
Si stanno studiando anche nuovi e meno invasivi metodi per attivare il circuito vagale. La stimolazione transcutanea del nervo vago (anche detta tVns, dall’inglese “transcutaneous Vagus Nerve Stimulation”), per esempio, permette di trasmettere un segnale elettrico al nervo vago senza interventi chirurgici, semplicemente attaccando gli elettrodi con una clip al padiglione auricolare e rilasciando gli impulsi alla branca vagale che parte proprio dall’orecchio.
Secondo una recente revisione degli studi pubblicata sulla rivista Frontiers in Neuroscience, questo campo d’indagine sta avanzando velocemente, ma restano ancora diversi interrogativi. Sebbene la tVns sia stata positivamente associata a una iper- o ipoattività in aree cerebrali legate ad ansia e regolazione dell’umore, il meccanismo d’azione non sarebbe ancora abbastanza chiaro per l’utilizzo di routine nei pazienti. Gli studi in ogni caso proseguono, concentrando l’attenzione sulle possibili terapie per mal di testa ed emicranie, dolore, acufeni e malattie infiammatorie croniche.