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Respiro e cervello: una connessione da approfondire

Alcuni neuroscienziati studiano come il ritmo della respirazione possa influenzare il nostro organismo e in particolare l’attività cerebrale, dalle funzioni cognitive alle emozioni.

Non c’è niente di più essenziale per la nostra vita che respirare: prendere aria e lasciarla uscire. Respiriamo in media 15 volte al minuto, vale a dire oltre 20.000 volte in una giornata. Così introduciamo ossigeno, che è indispensabile per far funzionare le nostre cellule e tutto l’organismo, ed eliminiamo anidride carbonica, una sostanza di scarto del metabolismo cellulare.

Respirare però non soddisfa solo la nostra “fame” d’aria, ma anche il bisogno continuo e costante di ossigeno da parte del cervello. Infatti oggi sappiamo che la respirazione, oltre a essere considerata un processo automatico guidato dal tronco encefalico, una parte antica del sistema nervoso, ha strette connessioni con diverse aree cerebrali che presiedono alcune funzioni cognitive complesse, tra cui quelle corticali e limbiche. L’apparente semplicità con cui respiriamo nasconde quindi un complicato sistema di controllo neurale.

Come respiriamo

A permettere il rifornimento di ossigeno, è l’apparato respiratorio, formato dalle vie aeree superiori, cioè naso e faringe, più le vie aeree inferiori, che comprendono laringe, trachea, bronchi e polmoni. L’aria può entrare dalla bocca e dal naso, dove viene filtrata e riscaldata all’interno delle narici. Passa dalla faringe e dalla laringe, dove le corde vocali possono produrre suoni, vibrando al passaggio dell’aria espirata. Scende quindi nella trachea, ancor più nei bronchi fino a raggiungere i polmoni. Qui, tra alveoli polmonari e sangue avviene lo scambio di gas: l’anidride carbonica dal sangue passa agli alveoli, mentre l’ossigeno inalato esce dagli alveoli ed entra nel sangue. Il sangue carico di ossigeno raggiunge così tutte le cellule del corpo, cervello incluso, attraverso un reticolo di capillari, vene e arterie.

In condizioni normali la respirazione è un processo automatico, ritmico e autonomo, controllato dal centro respiratorio posto alla base del cervello. La contrazione e il rilassamento del diaframma e dei muscoli intercostali modifica il volume della gabbia toracica, generando una differenza di pressione che richiama un flusso di aria. In altre parole, quando il diaframma si contrae, la cavità toracica si espande, diminuisce la pressione polmonare interna e nei polmoni entra aria. Quando il diaframma si rilassa, l’aria viene espulsa.

Invece mentre parliamo, cantiamo o tratteniamo il fiato, questo meccanismo può essere parzialmente controllato grazie alla contrazione volontaria del diaframma e dei muscoli del torace. La stimolazione volontaria della respirazione può essere impiegata, per il controllo per esempio dell’ansia, nelle terapie cognitivo comportamentali così come negli esercizi di meditazione.

Respiri da paura

I risultati di uno studio statunitense, pubblicati sul Journal of Neuroscience, suggerisce che la respirazione influenzi alcune funzioni cognitive, tra cui la memoria e le emozioni. In particolare il gruppo di ricerca ha riscontrato che inspirazione ed espirazione sono associate a una diversa attività cerebrale nell’amigdala e nell’ippocampo, le aree che elaborano i ricordi e le emozioni, tra cui la paura. Durante l’inalazione, queste regioni del cervello si attivano di più, al pari dei neuroni della corteccia olfattiva e di tutto il sistema limbico. Nel corso di alcuni esperimenti, a 60 volontari è stato chiesto di indicare il più rapidamente possibile le espressioni emotive di una serie di volti e di svolgere esercizi di memoria. Quando inspiravano dal naso, le persone identificavano più rapidamente i volti che esprimevano paura e ricordavano meglio le immagini osservate, rispetto a ciò che avveniva invece durante l’espirazione.

Come spiega il primo autore dell’articolo, la neuroscienziata Christina Zelano, della Northwestern University a Chicago, in situazioni di pericolo il ritmo del respiro accelera e aumentano i momenti di inspirazione. Questa risposta istintiva alla paura potrebbe avere un impatto positivo sulla funzione cerebrale e portare a rispondere più in fretta a segnali di pericolo nell’ambiente.

Stress

Anche in situazioni di stress o eccitazione, la frequenza respiratoria può variare. L’amigdala capta i segnali dai sensi e, qualora rilevi una potenziale minaccia, si mette in allerta. L’allarme arriva dritto e veloce all’ipotalamo, che attiva un processo a cascata: invia il segnale all’ipofisi (ghiandola che si trova alla base del cervello), che comunica con i surreni. Questi a loro volta rispondono secernendo cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress. In contemporanea il cervello avvia anche il rilascio di adrenalina e noradrenalina, ormoni che – di concerto con il cortisolo – agiscono su molteplici organi e sistemi. Così il cuore pompa più sangue e pulsa più velocemente, la respirazione diventa più rapida procurando più ossigeno, la sudorazione aumenta, rinfrescando l’organismo, i muscoli si contraggono preparandosi all’azione e la mente diventa più vigile, affinando le capacità intellettive.

Se nelle situazioni di paura una respirazione accelerata può aiutare a reagire al pericolo, in una condizione prolungata di stress può essere invece d’aiuto cercare di contrastare questa tendenza. Respirare in modo lento, controllato e profondo, è considerata una vera e propria strategia per ridurre la tensione, l’eccessiva eccitazione e anche gli attacchi di panico. Per esempio, è stato osservato che gli esercizi di respirazione possono portare benefici, limitando lo stress tra il personale infermieristico.

Secondo una ricerca della Stanford University, condotta con topi di laboratorio, sarebbe un piccolo gruppo di neuroni del tronco cerebrale a regolare i rapporti fra la respirazione e le attività cerebrali connesse alla calma o a uno stato di agitazione. Si tratta di un centinaio di neuroni del cosiddetto complesso di pre-Bötzinger, la cui attività ritmica avvia i movimenti respiratori, come una sorta di motore del ritmo respiratorio. Questi neuroni in particolare dialogano con il locus coeruleus, area del cervello che ha un ruolo chiave nell’attivare lo stato di vigilanza in generale, nel focalizzare l’attenzione e rispondere allo stress.

Respirazione, emozioni e cognizione

In conclusione, i nostri stati emotivi e cognitivi influenzano la respirazione – il ritmo cambia se siamo stressati, rilassati o concentrati nel fare qualcosa – e a sua volta la respirazione può influenzare il nostro stato emotivo e cognitivo. Sapere che opportuni esercizi di respirazione possono migliorare le prestazioni cognitive e anche le capacità motorie, può essere utile per esempio prima di eseguire un compito importante.

Simona Regina
Giornalista professionista, lavora come freelance nel campo della comunicazione della scienza. Scrive di salute, innovazione e questioni di genere e al microfono incontra scienziati e scienziate per raccontare sfide e traguardi della ricerca. People Science & the City è tra le trasmissioni che ha curato e condotto su Radio Rai del Friuli Venezia Giulia. Elogio dell'errore la sua ultima avventura estiva. Su Rai Play Radio il podcast che ha realizzato per Esof2020 che racconta Trieste città europea della scienza: Magazzino 26. Ogni anno si unisce all'equipaggio del Trieste Science+Fiction Festival per coordinare gli Incontri di futurologia, quest'anno approdati sul web come Mondofuturo.
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