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Internet of Things in azione per la fauna selvatica

Un gruppo di ricercatori dell’EPFL di Losanna ha sviluppato un nuovo approccio per studiare le specie selvatiche, nell’ambito del quale, finalmente, la sterminata quantità di informazioni che possiamo raccogliere attraverso satelliti, droni e sensori diventerà fruibile. Intelligenza artificiale e Big Data sono pronti a entrare in gioco nel campo dell’ecologia animale.

A volte tendiamo a percepire la tecnologia come un pericolo per l’ambiente e le specie che lo popolano. Il timore in alcuni casi è, fortunatamente, infondato. Numerose ricerche recenti mostrano che le tecnologie più avanzate possono aiutare a proteggere la biodiversità, esposta a pericoli costanti a causa del forte impatto delle azioni umane, tramite l’inquinamento e l’alterazione del clima.

La proposta dell’EPFL

In quest’ambito si colloca l’approccio sviluppato dai ricercatori della Scuola politecnica federale (EPFL) di Losanna, ed esposto in un articolo pubblicato lo scorso 9 febbraio sulla rivista Nature Communications. Lo scopo è mettere al servizio della conservazione ambientale e della tutela delle specie alcune fra le tecnologie più avanzate, sempre più in grado di fornire dati utilissimi. Il problema da risolvere era, tuttavia, come rendere maggiormente fruibile questo importante patrimonio di dati da parte di progetti di conservazione degli ecosistemi.

Il gruppo di ricerca dell’EPFL promuove a tale scopo l’uso di tecnologie di intelligenza artificiale, in particolar modo di algoritmi di apprendimento automatico. Tale metodo richiede, secondo i ricercatori, la collaborazione interdisciplinare di esperti specializzati nell’analisi di dati riguardanti la tutela degli ecosistemi e della biodiversità.

I limiti dell’approccio tradizionale

La perdita di biodiversità avanza senza sosta, ma, secondo i ricercatori, non vi sono dati sufficienti per molte delle specie classificate come a rischio dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN). Per strutturare progetti di conservazione efficaci sarebbe, invece, necessario conoscere con precisione, per ciascuna specie studiata, le variazioni di composizione e densità dei membri della specie stessa, nello spazio e nel tempo.

Tradizionalmente il monitoraggio è affidato ai ricercatori sul campo, che compiono laboriose operazioni di osservazione e conteggio degli esemplari soprattutto nelle riserve naturali. Si tratta di studi che incontrano i problemi tipici di ogni osservazione umana: la soggettività e i limiti fisici degli osservatori. A questo proposito i ricercatori hanno messo in luce alcuni errori emersi durante rilevazioni, operate da esseri umani, di colonie di uccelli marini e pipistrelli. Più in generale hanno sottolineato che le stime condotte per estrapolazione da piccoli conteggi possono essere viziate da grandi margini di errore statistico.

Un’altra criticità è l’alterazione degli ecosistemi dovuta alla presenza e alle attività umane. Le nuove tecnologie potrebbero aiutare a mitigare questi problemi, limitandone l’impatto sui monitoraggi futuri. Si potrebbe, per esempio, correggere pratiche, volte sia alla conservazione degli ecosistemi sia alla protezione degli animali dal bracconaggio, che si sono rivelate inefficaci o non in grado di produrre dati affidabili.

La possibile svolta tecnologica

Oggi esistono sensori, sia mobili che stazionari, inseriti in strumenti come fototrappole, droni e satelliti, che stanno rendendo disponibili enormi quantità di dati tramite telerilevamento. Nell’insieme queste tecnologie permettono un monitoraggio più preciso di molte riserve naturali, anche nelle zone più difficili da raggiungere a causa, per esempio, della configurazione del terreno. Consentono peraltro di tracciare i percorsi seguiti dai singoli individui di una specie e dalle popolazioni nel loro insieme nel corso delle migrazioni. La numerosità dei dati raccolti da diversi gruppi di ricerca su grandi piattaforme, con progetti svolti in molte regioni del mondo, contribuisce a creare risorse preziosissime che attendono di essere sfruttate in tutte le loro potenzialità.

Al crescere esponenziale dei dati raccolti, l’intelligenza artificiale può aiutare a catalogare e revisionare i dati, un’attività che in precedenza era solo manuale e che sarebbe oggi insostenibile e non permetterebbe di sfruttare appieno le tante risorse presenti in queste piattaforme. L’apprendimento automatico – in particolare il cosiddetto deep learning – diventa quindi una strategia versatile e funzionale per un’analisi precisa della grande quantità di dati a disposizione. Come notano gli autori, i metodi più recenti di apprendimento automatico, diventando sempre più precisi, stanno rendendo progressivamente sempre meno utile la revisione umana. Per esempio il frequente problema dei “falsi positivi” nel conteggio degli esemplari è oggi in larga parte superato.

L’uso di algoritmi di apprendimento automatico potrebbe rendere, dunque, molto più veloci operazioni prima laboriose e difficili. La conseguenza potrebbe essere una più tempestiva ed efficace azione di tutela degli ecosistemi. Un ulteriore vantaggio rimarcato dall’articolo consiste nella netta riduzione dei costi dell’analisi rispetto ai metodi tradizionali. Ciò detto, bisogna comunque tenere conto, come notano gli autori, dei costi legati all’uso della strumentazione impiegata per l’apprendimento automatico e del suo impatto ambientale, spesso trascurato.

In conclusione, i ricercatori ritengono che i risultati incoraggianti conseguiti finora in diversi progetti consentano di ipotizzare, per il futuro, un nuovo scenario degli studi ecologici. In tale scenario sarà possibile condurre gli studi senza disturbare gli animali, acquisendo in laboratorio informazioni poi trasferibili negli interventi sul campo. Naturalmente tali risultati saranno raggiungibili solo attraverso il contributo di gruppi di ricercatori capaci di lavorare in sinergia, con un approccio davvero interdisciplinare: l’unico con cui sia possibile gestire la complessità tipica dell’ambiente naturale e dei suoi molteplici equilibri.

Anna Rita Longo
Insegnante e dottoressa di ricerca, membro del board dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM (Science Writers in Italy), socia emerita del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), collabora con riviste e pubblicazioni a carattere scientifico e culturale.
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