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L’agricoltura del futuro? Sarà hi-tech e sostenibile

Satelliti, droni, intelligenza artificiale: ecco in che modo la tecnologia potrebbe aiutarci a ottimizzare le risorse e migliorare la produzione agricola.

Produrre di più, ma consumando meno. È questa, sostanzialmente, la sfida che dovrà vincere l’intera filiera agroalimentare nel prossimo futuro. In un pianeta in cui la popolazione è in continua crescita, ma dove le risorse naturali e il suolo sono già sovrautilizzati, sarà fondamentale rivedere tutto il processo con cui produciamo il nostro cibo, dal seme alla tavola, con l’obiettivo di ridurre gli sprechi, utilizzare fertilizzanti ed erbicidi solo laddove sia necessario e produrre cibo sicuro e in maniera sostenibile. Secondo quanto riportato dall’ultimo rapporto intitolato Agriculture 4.0 – The Future Of Farming Technology del World Government Summit, un’organizzazione internazionale con sede negli Emirati Arabi Uniti che serve come piattaforma per il dialogo globale tra i governi, la crescita demografica, la scarsità delle risorse naturali, i cambiamenti climatici e lo spreco alimentare saranno le principali criticità che l’industria agricola dovrà affrontare per soddisfare le esigenze del futuro.

Secondo le stime del rapporto, entro il 2050 dovremo produrre circa il 70 per cento di cibo in più, riducendo allo stesso tempo i consumi di acqua e di suolo: due degli elementi più importanti da considerare nella produzione agricola. L’agricoltura del futuro dovrà inoltre essere più inclusiva, in grado di garantire la sicurezza dei lavoratori e quella dei consumatori. Nel rapporto la Fao ricorda che le incertezze che ruotano attorno al cibo che produrremo sono molteplici, “tra cui la crescita della popolazione, le scelte alimentari, il progresso tecnologico, la distribuzione del reddito, lo stato delle risorse naturali, il cambiamento climatico e la sostenibilità. Nessuno sa con precisione come questi fattori evolveranno nel tempo; tuttavia, sicuramente plasmeranno il futuro”.

Agricoltura 4.0: droni, Internet of Things e raccolta dati

È su questi presupposti che l’agricoltura 4.0 dovrà e potrà fare la differenza. Negli ultimi anni infatti è proprio il settore agroalimentare quello ad avere subito una delle maggiori spinte tecnologiche. Prendiamo per esempio l’impiego dei droni: in pochi anni l’intero settore ha visto un deciso miglioramento tecnologico. Si va dai quadricotteri pilotati da remoto che, raccogliendo immagini e dati in tempo reale, permettono all’agricoltore di valutare la salute dei terreni e delle piante e di gestire in maniera più efficiente le risorse idriche e agrotecniche, a quelli totalmente autonomi, che volano ad orari prestabiliti, si ricaricano da soli e raccolgono autonomamente dati e immagini.

Sembra che sistemi di semina basati sui droni possano abbassare i costi di impianto dell’85 per cento. Guidati dal Gps, questi velivoli possono inoltre irrorare i raccolti con una precisione senza precedenti, e ridurre anche del 30 per cento l’uso di pesticidi. La riduzione dei consumi è proprio l’obiettivo della cosiddetta “agricoltura di precisione”, che oltre ai droni prevede l’utilizzo di robot, veicoli autonomi, e sensori piazzati nei campi per il campionamento del suolo. Grazie a questi dispositivi hi-tech gli agricoltori possono raccogliere un’enorme mole di dati attraverso il cosiddetto Internet of Things (IoT), e così prevedere il tempo meteorologico, conoscere in tempo reale, fra le altre cose, il grado di umidità del suolo e le aree dove è necessario irrigare o meno, scegliere il momento più adatto per le semine e prendere decisioni relative all’applicazione di fertilizzanti. In Europa è in corso un progetto dedicato, chiamato Internet of Food and Farm 2020  – che prevede la partecipazione di 73 partner diversi con un finanziamento di circa 30 milioni di euro in quattro anni – proprio per accelerare l’adozione dell’IoT nell’agroalimentare.

Fattorie verticali e lotta agli sprechi

In molte metropoli del mondo stanno poi nascendo nuove strutture destinate alla coltivazione urbana del cibo. Vere e proprie fattorie verticali stanno sorgendo ovunque, da San Francisco a Singapore, dagli Emirati Arabi Uniti a Shenzhen, laddove la mancanza di suolo e la necessità di conservare risorse come acqua e nutrienti hanno già spinto governi e società a puntare sulla coltivazione idroponica e sull’acquaponica per produrre più cibo con meno mezzi (meno acqua e meno suolo, appunto, e meno sostanze di sintesi). Assicurando allo stesso tempo la disponibilità di ortaggi freschi a poca distanza dal mercato di consumo.

Ma tra le sfide più urgenti da affrontare, quella della riduzione dello spreco alimentare è certamente la più urgente e complessa. Secondo la Fao, nel mondo circa un terzo del cibo prodotto per il consumo umano viene perso o sprecato, il che equivale a circa 1,3 miliardi di tonnellate all’anno 0 al 25 per cento del consumo di acqua globale. La “smart agriculture” potrebbe aiutare a ridurre tali sprechi, sia nei campi, poiché come detto gli agricoltori potranno sapere quasi in tempo reale come agire sulle colture, sia negli scaffali del supermercato, grazie (per esempio) a nuovi tipi di packaging “intelligenti” che sapranno informare correttamente i consumatori non solo sui valori nutrizionali, ma anche sull’origine dei prodotti, sul loro impatto ambientale, sul corretto consumo e la loro eventuale conservazione. E oltre alla lotta primaria alla malnutrizione, in termini di salute potremmo guadagnarci davvero tutti, puntando a produrre cibo con il minor impatto possibile sull’ambiente, meno pesticidi residui e, inoltre, con migliori proprietà nutrizionali.

Rudi Bressa
Giornalista ambientale e scientifico, collabora con varie testate nazionali e internazionali occupandosi di cambiamenti climatici, transizione energetica, economia circolare e conservazione della natura. È membro di Swim (Science writers in Italy) e fa parte del board del Clew Journalism Network. I suoi lavori sono stati supportati dal Journalism Fund e dalI'IJ4EU (Investigative Journalism for Europe).
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