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Nella foresta amazzonica (e non solo) per prevedere le epidemie del futuro

La storia degli scienziati che vanno a caccia di patogeni che potrebbero innescare le prossime pandemie.

C’è una domanda che moltissime persone si pongono da quando l’emergenza legata alla pandemia da Covid-19 è entrata prepotentemente e tragicamente nella nostra quotidianità. Come evitare che una situazione analoga possa ripresentarsi in futuro? La domanda è strettamente collegata a un’altra questione: quanto era prevedibile, dal punto di vista della scienza, un’emergenza sanitaria come quella che stiamo affrontando? O si è trattato di un tragico e inaspettato incidente di percorso?

Salti di specie

Da parecchio tempo molti scienziati hanno avvertito le autorità politiche e di salute pubblica sui crescenti fenomeni dei “salti di specie” dei patogeni, in inglese spillover, all’origine anche di Covid-19. Il fenomeno è stato anche raccontato al pubblico da Spillover, il celebre libro del divulgatore David Quammen, pubblicato in Italia da Adelphi nella traduzione di Luigi Civalleri. Con uno stile da saggio narrativo (non senza qualche nota decisamente forte), già nel 2012 Quammen lanciava un monito ai lettori sul pericolo rappresentato dalle zoonosi. Si tratta delle malattie trasmesse agli esseri umani dalle altre specie animali, per esempio attraverso il consumo di carne proveniente da animali infetti oppure attraverso il contatto con esemplari malati di una specie.

Si definisce, appunto, salto di specie il fenomeno per cui un patogeno che generalmente è specifico di una determinata specie, diventa in grado di infettarne un’altra, per esempio tramite mutazioni. Molte gravi malattie che colpiscono gli esseri umani sono zoonosi: tra gli esempi si possono citare ebola, la Sars, la Mers, l’Aids e anche malattie più antiche come il morbillo.

Lo stile di vita e i comportamenti delle comunità umane purtroppo favoriscono i salti di specie dei patogeni. Da tempo gli scienziati mettono in guardia sul fatto che lo sfruttamento del suolo, gli allevamenti intensivi, l’urbanizzazione condotta a scapito degli ecosistemi e dei loro equilibri, la progressiva sottrazione alle altre specie del loro habitat, i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità e, in generale, l’impatto della specie umana sull’ambiente favoriscano l’emergere di zoonosi. Questi fenomeni sono infatti diventati significativamente più frequenti nel corso del tempo. La prevenzione passa, invece, per un atteggiamento più responsabile e rispettoso di tutte le specie e degli ecosistemi da parte degli esseri umani, specie invasiva per eccellenza.

A caccia dei futuri patogeni

Accanto a interventi sistemici, per rivedere il nostro stile di vita in chiave ecologica, sono di fondamentale importanza gli studi di sorveglianza attiva dei patogeni presenti in altre specie “serbatoio” da cui potrebbero nascere nuove pandemie. Un reportage pubblicato su Science si concentra, per esempio, sull’attività di un gruppo di scienziati che, nella foresta amazzonica, è impegnato nella ricerca di malattie possibilmente trasmesse da altri animali agli esseri umani.

L’impatto degli esseri umani sulla foresta amazzonica è, purtroppo, imponente e popolosi centri urbani, come, per esempio, la città brasiliana di Manaus, si trovano proprio a ridosso della foresta pluviale, aumentando le occasioni di contatto tra umani e altre specie. Il gruppo di scienziati descritto nel reportage studia, nell’ambito della “Fiocruz Amazônia Biobank, soprattutto i patogeni che colpiscono roditori, scimmie e pipistrelli, ritenuti quelli che più facilmente potrebbero essere trasmessi all’uomo. Come sottolineato nell’articolo, il principale ostacolo per queste ricerche negli ultimi tempi è stato proprio rappresentato da una zoonosi, cioè Covid-19, che ha avuto un tragico impatto su tutto il territorio brasiliano, compresa la zona di Manaus.

Mappare il rischio

L’attività del gruppo si ispira al progetto statunitense “PREDICT, avviato nel 2009 e cancellato dall’amministrazione Trump nel marzo del 2020. Il progetto aveva lo scopo di identificare su scala globale virus che potrebbero essere implicati in future zoonosi. Il progetto è stato guidato dalla United States Agency for International Development (Usaid). L’agenzia governativa statunitense si occupa di lotta alla povertà e promozione della democrazia a livello globale, in collaborazione con EcoHealth Alliance, uno tra gli enti più impegnati nella tutela della salute umana in prospettiva ecologica, ponendo attenzione al rapporto con gli altri organismi e gli ecosistemi.

I dati provenienti da PREDICT e dagli altri studi condotti dalla comunità scientifica globale sono recentemente confluiti in un nuovo progetto, significativamente chiamato SpillOver, che ha portato alla creazione di uno strumento presentato sulla rivista scientifica Pnas. Si tratta di un archivio interattivo che consente di valutare il rischio di un salto di specie e della potenziale di diffusione di nuovi virus di origine animale. Lo strumento, concepito per diventare via via più preciso attraverso l’uso di algoritmi di apprendimento automatico, è stato anche pensato per aiutare decisori politici e istituzioni nella comunicazione del rischio di nuove zoonosi.

Una ricerca che cerca di tracciare una mappa delle zone in cui si potrebbero verificare futuri spillover di coronavirus da alcuni pipistrelli agli esseri umani è stata condotta dal Politecnico di Milano in collaborazione con l’Università della California a Berkeley e la Massey University in Nuova Zelanda. Resa nota attraverso le pagine della rivista Nature Food, ha individuato come zone a rischio principalmente alcune aree della Cina e del Sud e Sud-est asiatico. Gli autori hanno sottolineato il legame tra l’impatto umano sugli habitat dei pipistrelli e le probabilità di spillover.

Una mappa pubblicata su Nature Communications metteva in evidenza, già nel 2017, maggiori probabilità di spillover in alcune zone come India, Sud-est asiatico, Cina orientale, alcune zone dell’Africa e America Centrale, per il concorrere di alcune condizioni che favoriscono il passaggio di patogeni dalle altre specie alla nostra. Gli scienziati suggerivano di concentrare in queste zone le iniziative di monitoraggio a lungo termine a scopo preventivo.

Tra le più importanti collaborazioni internazionali in questo ambito è importante infine segnalare il “Global Virome Project, che ha lo scopo di creare un’immensa banca dati sui virus, gestita collettivamente e collaborativamente, per consentire, a livello globale, di mettere in atto efficaci misure di prevenzione nell’ottica di scongiurare future pandemie, passando, come si sottolinea, da un approccio reattivo a un approccio proattivo.

Anna Rita Longo
Insegnante e dottoressa di ricerca, membro del board dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM (Science Writers in Italy), socia emerita del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), collabora con riviste e pubblicazioni a carattere scientifico e culturale.
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