TORNA ALLE NEWS

Piante bioingegnerizzate per un’aria più pulita

Le piante da appartamento possono aiutare a combattere l’inquinamento da composti organici volatili negli spazi al chiuso, con un beneficio per la salute. Attraverso modificazioni genetiche è possibile rendere più efficiente quest’azione delle piante, anche per provare a combattere il riscaldamento globale.

Passiamo all’interno delle nostre abitazioni oltre la metà dell’intera vita e, per molti esseri umani, il 90 per cento circa delle giornate si svolge in ambienti chiusi. Con la pandemia di Covid-19 e le conseguenti restrizioni agli spostamenti per limitarne l’impatto, questi numeri hanno subìto un ulteriore incremento. Ciò ha reso ancora più chiaro, anche nella percezione comune, l’importanza della qualità dell’aria che respiriamo negli spazi al chiuso, fondamentale sia per il nostro benessere immediato sia per la prevenzione di una serie di malattie. A ribadirlo è anche l’Istituto superiore di sanità, che sottolinea come l’inquinamento dell’aria (sia all’interno degli edifici, sia all’esterno) rappresenti uno dei fattori di rischio ambientale più importanti per la salute pubblica.

Il tema non è certo una novità del periodo pandemico. Già nel 2018 i risultati di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’università di Washington, pubblicati sulla rivista Environmental Science & Technology, avevano mostrato che introdurre opportuni geni in alcune piante domestiche può rendere tali organismi vegetali più efficienti nella lotta contro l’inquinamento al chiuso. Le piante modificate geneticamente riuscivano infatti a rimuovere molto più rapidamente alcuni composti inquinanti e tossici che quotidianamente respiriamo.

Le molte origini dei composti organici volatili

Tra le sostanze che più inquinano l’aria, vi sono i cosiddetti composti organici volatili, spesso indicati in sigla come Cov (o Voc, dall’inglese volatile organic compounds). Rientrano in questa categoria numerose sostanze, tra cui le più diffuse negli ambienti residenziali sono limonene, toluene e formaldeide. Quest’ultimo è un composto particolarmente pericoloso dal punto di vista tossicologico e un riconosciuto cancerogeno.

Queste sostanze nocive vengono prodotte direttamente da chi abita o occupa, per esempio per lavoro, gli edifici, con la respirazione e la sudorazione. Inoltre possono anche essere rilasciate da cosmetici e detersivi, da dispositivi per il riscaldamento, da strumenti da lavoro come stampanti e fotocopiatrici, dagli elettrodomestici e dal fumo di sigaretta. Tra le altre possibili fonti di sostanze nocive ci sono gli elementi strutturali e di arredo, cioè mobili, rivestimenti, colle, smalti e moquette. Infine, i Cov possono provenire anche dall’esterno, soprattutto se le prese d’aria si trovano in prossimità di aree con un elevato tasso di inquinamento, come per esempio strade trafficate o fabbriche.

Quali rischi corriamo se viviamo in ambienti con alte concentrazioni di composti organici volatili? Come riportato dal Ministero della salute, tra i potenziali effetti dannosi rientrano sia piccoli disagi sensoriali sia – in caso di esposizione di lungo periodo – danni a organi e apparati, in particolare a carico del sistema nervoso centrale. Di recente sono stati ipotizzati anche effetti cancerogeni, soprattutto nel caso in cui le persone restino molto a lungo in ambienti confinati in cui proliferano sostanze tossiche.

Il ruolo delle piante da appartamento

Classici suggerimenti per ridurre l’inquinamento al chiuso sono utilizzare pochi prodotti e materiali contenenti Cov e favorire la fuoriuscita delle sostanze nocive cambiando frequentemente l’aria, soprattutto nei luoghi affollati. Inoltre si consiglia di non fumare in ambienti chiusi, di effettuare periodici controlli degli impianti di riscaldamento e di utilizzare soluzioni di arredo poco inquinanti.

Un’altra opzione che spesso viene suggerita è di mettere nelle stanze delle piante da appartamento, capaci di contribuire in maniera significativa alla pulizia dell’aria, non solo rimuovendo anidride carbonica e rilasciando ossigeno, ma anche favorendo l’eliminazione dei composti organici nocivi. Esistono studi scientifici a sostegno di questa teoria? Sì, studi condotti in condizioni sperimentali controllate, difficili però da riprodurre in contesti reali: stando al tasso di purificazione offerto dalle piante studiate finora, per ottenere un reale beneficio in un appartamento o in un ufficio sarebbe infatti necessario dotarsi di una quantità di vegetali davvero enorme, una strada difficilmente percorribile, tenendo conto del fatto che molti spazi al chiuso hanno dimensioni limitate. Risultati simili possono peraltro essere ottenuti con un semplice cambio dell’aria o tramite un normale impianto di ventilazione.

Alcuni ricercatori hanno però pensato che sia le piante sia gli alberi potrebbero essere geneticamente modificati in modo da migliorare la loro capacità di rimuovere i Cov.

Uno studio di fattibilità

Nel corso del già citato studio del 2018, condotto da un gruppo dell’università di Washington e sostenuto dal National Institute of Environmental Health Sciences (Niehs), è stata modificata geneticamente la comune edera del diavolo (Epipremnum aureum). Nella pianta è stata inserita una versione sintetica del gene per la produzione del citocromo P450 2E1, un enzima coinvolto nel processo di detossificazione. Negli esseri umani questo enzima agisce sulle sostanze chimiche estranee presenti nel fegato.

Per misurare l’efficacia dell’edera modificata, gli scienziati hanno effettuato un test con lo scopo di valutare la capacità di rimuovere due Cov specifici: benzene e cloroformio. Attraverso un confronto con piante normali selvatiche, è emerso che quelle geneticamente modificate erano in grado di rimuovere 4,7 volte più benzene. Per quanto riguarda invece il cloroformio, le piante selvatiche non lo eliminavano nemmeno in minima parte, mentre quelle modificate sono state in grado di diminuirne la concentrazione dell’82 per cento in soli tre giorni, e di eliminarlo quasi completamente in sei.

Combattere il riscaldamento globale con le piante?

Le piante possiedono naturalmente la capacità di assorbire l’anidride carbonica, uno dei principali gas serra, e sono dunque importanti alleati nella lotta contro il cambiamento climatico e nella protezione dei delicati equilibri del pianeta. L’auspicio, condiviso da molti scienziati, è di utilizzare le tecniche di modifica genetica per rendere ancora più efficiente questo naturale sistema di protezione climatica. Per esempio, la biologa vegetale Joanne Chory, presso il Salk Institute for Biological Studies di La Jolla, in California, sta studiando con grande attenzione il DNA delle piante per poterle sfruttare – una volta bioingegnerizzate – nella lotta ai cambiamenti climatici.

Come ha spiegato in occasione di una conferenza Ted nel 2019, gli alberi sono macchine straordinarie che hanno da sempre avuto un ruolo essenziale nella regolazione del clima globale attraverso l’assorbimento della CO2. L’obiettivo di Chory, insieme al suo gruppo di scienziati, è rendere le piante in grado di assorbire ancora più anidride carbonica, proprio per rallentare il processo di riscaldamento globale di origine antropica.

Gianluca Dotti
Giornalista scientifico freelance e divulgatore, si occupa di ricerca, salute e tecnologia. Classe 1988, dopo la laurea magistrale in Fisica della materia all’università di Modena e Reggio Emilia ottiene due master in comunicazione della scienza, alla Sissa di Trieste e a Ferrara. Libero professionista dal 2014 e giornalista pubblicista dal 2015, ha tra le collaborazioni Wired Italia, Radio24, StartupItalia, Festival della Comunicazione, Business Insider Italia, Forbes Italia, OggiScienza e Youris. Su Twitter è @undotti, su Instagram @dotti.it.
share