Si racconta che, durante un periodo di vacanza, lo scienziato e i suoi collaboratori avessero lasciato proliferare, per errore e senza nutrimento, alcune colture batteriche che stavano studiando. Al rientro notarono che i microrganismi affamati e indeboliti avevano perso la loro virulenza, ma non la capacità di generare una risposta immunitaria. La casuale scoperta si rivelò rivoluzionaria, tanto che ancora oggi si usano strategie simili per lo sviluppo di alcuni vaccini.
Louis Pasteur è considerato uno dei padri fondatori della microbiologia. Lo impariamo a scuola e ce lo ricordiamo ogni volta che leggiamo l’etichetta sul nostro cartone di latte “pastorizzato”. Il termine indica che la bevanda è stata trattata col calore, in modo da ridurre la carica batterica e renderla conservabile più a lungo. Pasteur è anche ricordato per avere confutato definitivamente la teoria della generazione spontanea, secondo cui la vita emergerebbe dalla materia non vivente attraverso la putrefazione e la fermentazione (in precedenza anche Francesco Redi e Lazzaro Spallanzani erano andati vicini a superare questa credenza). Questi processi, ha dimostrato Pasteur, sono dovuti a microbi invisibili che sono ovunque e si possono bloccare uccidendoli, o impedendo che entrino in contatto con le sostanze da non contaminare.
Nell’esperimento più famoso da questo punto di vista, nel 1861, Pasteur mise del brodo di carne dentro un’ampolla con un lungo collo ricurvo e lo portò a ebollizione. Il brodo così bollito non andava a male e cominciava a intorbidire solo se si rompeva il collo dell’ampolla. Bollendo l’ampolla e il suo contenuto, Pasteur aveva ucciso tutti i microrganismi presenti all’interno, e il collo ricurvo permetteva il passaggio dell’aria ma impediva quello della polvere e di nuove spore e germi. Rompendo il collo invece il brodo si contaminava rapidamente con le polveri, i batteri e le spore, e cominciava ad andare a male. Se la teoria della generazione spontanea fosse stata corretta, il brodo bollito, e quindi sterilizzato e isolato dai microbi nell’aria, sarebbe dovuto imputridire ugualmente.
Questo, però, è solo uno dei traguardi scientifici raggiunti da Pasteur. Nella timeline interattiva preparata lo scorso dicembre dalla rivista Nature, per esempio, la terza pietra miliare della strada che porta ai vaccini moderni riguarda proprio lo scienziato francese, subito dopo la variolazione (una forma primitiva di immunizzazione contro il vaiolo) e la sperimentazione del primo vaccino, sempre contro il vaiolo, da parte del medico Edward Jenner. A Pasteur siamo debitori, in particolare, per lo sviluppo dei vaccini attenuati.
Una testa di pollo
Durante l’Ottocento in Europa si manifestò una nuova patologia che colpiva i polli e altri uccelli d’allevamento. Visto che nello stesso periodo il colera colpiva a ondate gli esseri umani, la malattia venne chiamata per analogia colera dei polli, anche se i patogeni responsabili delle due malattie si sono dimostrati essere molto diversi. Pasteur cominciò a studiare il colera dei polli nel 1878, quando il veterinario Jean-Joseph-Henri Toussaint, che ne aveva identificato il microbo responsabile, gli spedì la testa di un animale colpito dalla malattia. L’anno successivo Pasteur riuscì a isolare e coltivare in laboratorio l’agente infettivo della malattia. Si trattava di un batterio che, anni dopo, ricevette un nome ufficiale proprio in onore di Pasteur: Pasteurella avicida (modificato in seguito in P. multocida perché, oltre ai polli, attacca anche diversi mammiferi e, a volte, gli esseri umani).
Pasteur, insieme ai suoi assistenti, fece crescere il germe in un brodo di coltura a base di carne di pollo. Poche gocce di questo brodo contaminato, versate sul cibo per gli animali, bastavano a far ammalare e a uccidere un pollo in salute, a meno che quest’ultimo non fosse stato tanto fortunato da contrarre il colera in precedenza e sopravvivere (la mortalità di questi uccelli era vicina al 100 per cento). Ma nel 1879 ci fu un imprevisto. Secondo il racconto di uno dei suoi assistenti, Emile Duclaux, il lavoro sul colera dei polli si era interrotto durante le vacanze estive, e al rientro le colture sembravano diventate sterili, tanto che all’inizio i ricercatori pensarono di dover gettare tutto e ricominciare da capo gli esperimenti. Qualche anno prima, nel 1854, Pasteur aveva detto in una conferenza “il caso favorisce le menti preparate”, riferendosi al fisico Hans Christian Oersted, il quale, da un’osservazione fortuita (l’ago di una bussola che si spostava quando collegava una batteria poco distante), aveva dedotto la relazione tra elettricità e magnetismo. Ora toccava proprio a Pasteur dare una dimostrazione della veridicità di quell’affermazione. Lo scienziato, anziché gettare le colture, decise di usarle ugualmente per studiare gli effetti sui polli. Scoprì così che alcuni si ammalarono, ma nessuno morì, a dimostrazione che la coltura in apparenza sterile provocava in realtà una reazione immunitaria. In seguito Pasteur provò a infettare gli stessi polli con colture fresche, quindi virulente e letali, e solo una frazione dei polli morì, mentre gli altri si ripresero: erano diventati resistenti al colera.
Nuove vie per i vaccini
Alla fine del Settecento Edward Jenner osservò che alcune mungitrici non si ammalavano di vaiolo umano. Formulò così l’ipotesi che esse avessero contratto dalle mucche una forma di vaiolo vaccino e che questa lieve infezione le avrebbe protette dalla più temibile forma umana (da qui sarebbe poi stato coniato il termine “vaccino”). Pensò così di usare il materiale presente nelle pustole di vaiolo bovino per immunizzare le persone dalla forma umana. Grazie agli esperimenti sui polli, Pasteur aveva scoperto che era possibile ottenere un analogo risultato con un procedimento diverso: anziché utilizzare un altro patogeno attivo, anche se meno pericoloso, si poteva usare il patogeno stesso attenuandone artificialmente la virulenza. Nel caso del colera dei polli, Pasteur era riuscito a comprendere che a quanti più passaggi erano state sottoposte le colture e tanto meno erano virulente.
Quando presentò i suoi risultati all’Accademia delle scienze francese, nel 1880, lo scienziato francese scrisse: “Voglio sottolineare all’Accademia due conseguenze principali dei fatti presentati: la speranza di coltivare tutti i microbi e di trovare un vaccino per tutte le malattie infettive che hanno ripetutamente afflitto l’umanità, e che sono un enorme fardello per l’agricoltura e l’allevamento degli animali domestici”.
L’anno successivo Pasteur dimostrò pubblicamente il funzionamento di un vaccino di questo tipo contro l’antrace del bestiame. Ma in questo caso le cose non erano come sembravano: dagli appunti dello scienziato emerse che il vaccino era stato preparato con batteri morti e non attenuati, come aveva inizialmente dichiarato. Era un metodo simile a quello che aveva proposto il collega (e da un certo punto in poi rivale) Jean-Joseph-Henri Toussaint e che Pasteur aveva pubblicamente e fortemente criticato. La gloria per la scoperta andò tutta a Pasteur e Toussaint fu di fatto dimenticato. Per gli storici della scienza questo comportamento oggi si potrebbe classificare come frode scientifica.
Dagli animali agli esseri umani
Il principio del vaccino attenuato di Pasteur rimaneva comunque valido. Pasteur e i suoi assistenti, in particolare Emile Roux, riuscirono nel 1885 a sviluppare un vaccino attenuato contro la rabbia. La malattia, come oggi sappiamo, è causata da un virus che infetta il sistema nervoso dei mammiferi. I ricercatori del laboratorio di Pasteur ne ridussero la virulenza trasmettendolo artificialmente a un’altra specie, i conigli. Utilizzando in seguito il midollo spinale essiccato di questi conigli, fu possibile vaccinare in maniera efficace dei cani, che diventarono così immuni alla rabbia.
Ma la rabbia, con il morso, può trasmettersi purtroppo anche agli esseri umani. Un giorno al laboratorio di Pasteur venne portato un bambino di nome Joseph Meister che era stato morso 14 volte da un cane colpito dalla rabbia. Se il bambino avesse sviluppato la malattia, sarebbe quasi sicuramente morto. Pasteur, che non era un medico, decise di correre il rischio e di provare a vaccinare il ragazzo con lo stesso metodo impiegato in precedenza per i cani. La rabbia ha un periodo di incubazione piuttosto lento, quindi in linea teorica il vaccino avrebbe potuto stimolare il sistema immunitario e combattere il germe in tempo, anche se il bambino era già stato probabilmente esposto al patogeno.
Meister si salvò e per Pasteur fu un trionfo. All’epoca la sensibilità etica era diversa da oggi, anche se già allora alcuni, come Roux, si dissociarono dalla decisione presa da Pasteur di sperimentare il preparato su una “cavia” umana. Non possiamo sapere con certezza se il bambino avesse contratto o meno il virus, né se sia stato salvato davvero grazie al vaccino. Tuttavia, studi successivi confermarono che il vaccino attenuato contro la rabbia e usato da Pasteur funzionava anche in altri esseri umani. Più in generale, i vaccini attenuati continuano a essere usati oggi per prevenire molte malattie umane, virali e batteriche, dalla rosolia al colera, anche se le tecniche per la loro preparazione sono diventate più raffinate.
Molto più della fortuna
La fortuna aiuta gli audaci, e Pasteur lo era, ma bisogna aggiungere una nota a piè di pagina rispetto alla serendipità che portò al vaccino contro il colera dei polli. Pasteur custodiva gelosamente i suoi taccuini e i suoi eredi a lungo non li divulgarono, fino al 1975. In base al loro contenuto oggi alcuni storici pensano che in realtà l’estate del 1879, quella in cui le colture furono dimenticate (alcuni dicono sia stata colpa di un assistente), non abbia influito sul corso degli eventi, nonostante questo dettaglio sia stato riportato nelle tante biografie dello scienziato.
Per esempio, secondo lo storico Antonio Cadeddu, la fortuna non c’entrava. L’attenuazione della virulenza nelle colture sarebbe invece stata attivamente ricercata, con molti esperimenti, e sarebbe stato proprio un assistente, Emile Roux, a trovare la “chiave” per ottenerla e non Pasteur in persona. Insomma, le scoperte serendipiche nella scienza esistono (e sono belle da raccontare), ma a volte scavando sotto la superficie si scopre che alcuni aneddoti servono soprattutto a rendere più interessante e curiosa una storia di un duro lavoro di squadra.