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Sentinelle con le pinne

Come stanno i tonni, gli squali e i marlin dei nostri mari e oceani? Il loro stato di salute e benessere è un buon indicatore della pressione che l’ambiente acquatico subisce a causa della pesca e di altre attività umane, e di quanto le misure per il ripristino della biodiversità possano essere efficaci.

Oggi abbiamo strumenti piuttosto efficaci per valutare lo stato di salute delle popolazioni di molte specie di mammiferi, uccelli e anfibi per la maggior parte di acqua dolce. Non possiamo invece dire lo stesso per quanto riguarda gli abitanti di mari e oceani. I ricercatori che si occupano di questi studi hanno infatti mappato e studiato solo il 20 per cento circa degli oceani, nonostante questi ricoprano attorno al 70 per cento della superficie del nostro pianeta e siano fondamentali per regolare il clima e le temperature, incidendo di fatto su tutti gli organismi viventi.

Sappiamo però che dalle specie marine arrivano già molti segnali negativi, e anche per questo è sempre più fondamentale avere a disposizione degli indici o degli indicatori per il monitoraggio dei cambiamenti nella biodiversità marina. Solo così possono essere avviate politiche di conservazione consapevoli e azioni mirate. Con questo obiettivo, un gruppo di ricercatori del centro tecnologico Azti, nei Paesi Baschi spagnoli, in collaborazione con la canadese Simon Fraser University e la International Seafood Sustainability Foundation di Pittsburgh, negli Stati Uniti, ha lavorato a un indice che fosse in grado di misurare lo stato della biodiversità marina. Per farlo, si sono basati sulla variazione del rischio di estinzione dei grandi predatori oceanici, registrati in circa 70 anni. Valutare lo stato di salute delle popolazioni di queste specie permetterebbe di ottenere una fotografia dell’insieme della biodiversità marina. Inoltre, al tempo stesso, si potrebbero forse comprendere meglio le pressioni che tutte le specie animali marine e oceaniche stanno subendo.

Tonni, marlin e squali come specie sentinella

I ricercatori hanno preso in considerazione un ampio gruppo di predatori per valutare lo stato di salute della biodiversità marina. Questo perché animali come i tonni, i marlin e gli squali sono ottimi indicatori anche per quanto riguarda le altre popolazioni a essi collegate. Queste specie, dette sentinella, hanno infatti un ruolo critico nella regolazione e nella stabilità degli ecosistemi oceanici. Inoltre questo gruppo comprende un ampio ventaglio di animali preziosi dal punto di vista commerciale ed economico, che sono altresì quelli meglio monitorati e valutati dalle organizzazioni internazionali per la gestione della pesca.

I ricercatori hanno analizzato le valutazioni e i tassi di mortalità di ben 52 popolazioni di 18 specie diverse, rappresentative del 60 per cento circa della diversità dei pesci predatori oceanici. Il gruppo di lavoro è così riuscito a calcolare un indice di rischio di estinzione (red list index), simile a quello impiegato dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), un’organizzazione che opera nel campo della conservazione della natura e dell’uso sostenibile delle risorse naturali. Il gruppo ha valutato le variazioni annuali su un arco temporale di circa 70 anni. I risultati, pubblicati a novembre 2022 sulla rivista Science, mostrano come per circa 58 anni il rischio di estinzione sia costantemente aumentato fino ai primi anni Duemila, a causa principalmente della pesca eccessiva. Da quel momento in poi la situazione è invece migliorata, in particolare per quanto riguarda tonni e marlin. Il risultato è stato ottenuto grazie ad azioni per la gestione della pesca volte al mantenimento degli stock ittici, le sottopopolazioni di una specie di pesci o invertebrati soggetti alla pesca commerciale, e alla riduzione della cosiddetta “fishing mortality”. Quest’ultimo è un parametro impiegato nello studio delle dinamiche delle popolazioni ittiche, che tiene conto della perdita di pesce in un particolare stock ittico a causa della morte dei suoi esemplari.

Gli squali continuano a essere in pericolo

I ricercatori hanno anche notato che, mentre tonni e marlin sono stati gestiti in modo sempre più sostenibile per garantire la stabilità delle popolazioni, il numero di squali continua a diminuire drammaticamente a causa sia della pesca sia della cattura accidentale. Questo dimostra, spiegano i ricercatori, come il tasso di estinzione sia strettamente collegato alla pesca e alle azioni di gestione avviate negli anni. A un risultato simile era arrivato un altro gruppo di lavoro, con uno studio i cui risultati sono stati pubblicati nel 2021 sulla rivista Nature. I ricercatori in questo caso erano giunti alla conclusione che, dal 1970 a oggi, l’abbondanza di squali e razze oceaniche è diminuita del 71 per cento circa, sempre a causa della pesca in eccesso. Avevano inoltre sottolineato che almeno tre quarti delle specie che compongono questo folto gruppo, costituito da almeno 500 specie diverse, sono a rischio di estinzione.

La nostra capacità di comprensione delle dinamiche oceaniche nel tempo migliora. È però sempre più evidente che le attività umane, e innanzitutto la pesca, sono tra le principali cause della perdita di biodiversità in questi ambienti. Ma abbiamo anche la dimostrazione che divieti e azioni mirate per la protezione e la gestione sostenibile delle riserve ittiche possono funzionare. In quanto forniscono il tempo necessario alle popolazioni per riprendersi, senza per questo intaccare una delle fonti di sostentamento principali per numerosissime comunità umane nel mondo.

Rudi Bressa
Giornalista ambientale e scientifico, collabora con varie testate nazionali e internazionali occupandosi di cambiamenti climatici, transizione energetica, economia circolare e conservazione della natura. È membro di Swim (Science writers in Italy) e fa parte del board del Clew Journalism Network. I suoi lavori sono stati supportati dal Journalism Fund e dalI'IJ4EU (Investigative Journalism for Europe).
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