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Un evoluzionista particolare: Daniele Rosa

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La storia dell’evoluzionismo è segnata anche da scienziati che, in particolari periodi storici, avanzarono teorie diverse da quelle di Darwin e Wallace. Uno di questi fu lo studioso italiano Daniele Rosa, che propose la teoria dell’ologenesi: in occasione del Darwin Day ripercorriamo la sua storia.

“Il 27 aprile a Novi Ligure, ove si era ritirato per trascorrere in quiete gli ultimi anni, giunto al termine naturale della sua vita, Daniele Rosa si spegneva come una fiamma che, dopo aver arso fino all’ultimo, improvvisamente si affiochisce e si estingue. Con lui cessava di esistere uno degli uomini più insigni del nostro secolo: la lucidità della sua mente non venne meno che nell’ora in cui venne preso dal sonno per l’ultima volta”. Cominciava così un articolo pubblicato nel 1944 da Sapere, la più antica rivista italiana di divulgazione scientifica. Tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento lo zoologo Daniele Rosa è stato infatti un importante scienziato, noto a livello nazionale e internazionale e premiato per i suoi meriti con onorificenze pubbliche dall’allora Regno d’Italia. Fu a lui che l’Enciclopedia italiana Treccani affidò, nel 1932, la stesura della voce Evoluzione.

Eppure Daniele Rosa è stato oggi quasi dimenticato. Il suo nome non compare più nelle riviste divulgative e si fatica a trovarlo nei libri, divulgativi o meno, di storia della scienza. Anche quando Rosa viene citato, lo si fa quasi sempre dedicandogli una nota a piè di pagina o al massimo un breve paragrafo.

Per quale motivo? La risposta può aiutarci a guardare con occhi un po’ diversi la storia delle idee scientifiche. Prima, però, è utile ricordare un antefatto.

La rivoluzione di Darwin e Wallace

La fissità delle specie cominciava a rappresentare un dogma difficile da sostenere, quando a metà Ottocento l’evoluzione cominciò ad affermarsi come fatto scientifico, dopo che in precedenza erano già state proposte alcune teorie. Charles Darwin e Alfred Russel Wallace arrivarono in modo indipendente a elaborare l’idea della selezione naturale quale principale motore dell’evoluzione, ovvero del cambiamento nel tempo delle specie. I due scienziati comunicarono pubblicamente le loro idee, nel 1856 e, soprattutto dopo la pubblicazione de L’origine delle specie di Darwin stesso, rivoluzionarono la scienza.

Ciò nonostante, il peso da dare alla selezione naturale nell’evoluzione continuò a essere a lungo oggetto di discussione. Persino l’anatomista Thomas Henry Huxley, inventore del termine “darwinismo” e detto “il mastino di Darwin” per quanto difendeva l’amico in pubblico, non era del tutto convinto delle nuove teorie. Darwin stesso ammetteva, peraltro, che la selezione naturale non poteva spiegare qualsiasi cambiamento evolutivo, lasciando aperta la porta ad altri meccanismi come, per esempio, l’uso e il disuso delle parti (che ritroviamo nel lamarckismo).

La selezione naturale richiedeva di fatto di accettare che le popolazioni cambiassero nel tempo, dato che solo alcuni individui riuscivano a riprodursi e a trasmettere alla prole le caratteristiche che avevano permesso loro di non soccombere alle pressioni dell’ambiente. Il problema principale era che, al tempo di Darwin, i meccanismi genetici dell’ereditarietà erano ancora sconosciuti. Così, a cavallo del ventesimo secolo, si entrò nella fase denominata “eclissi del darwinismo”, con un’espressione coniata da Julian Huxley, nipote di Thomas Henry. In tale periodo furono avanzate molte teorie alternative alla selezione naturale, tra cui quella di Daniele Rosa, detta di ologenesi.

Daniele Rosa e l’ologenesi

Daniele Rosa, nato a Susa nel 1857, aveva studiato a Torino e trovato la sua strada nelle scienze naturali. Frequentava il Museo di zoologia di Torino diretto da Michele Lessona, importante traduttore di opere darwiniane, e fu subito attratto dal pensiero evoluzionistico. Laureatosi nel 1880, si dedicò allo studio degli oligocheti, un gruppo importante di animali, al quale appartengono per esempio i comuni lombrichi. All’epoca si trattava di un gruppo ancora poco studiato, e Rosa ne diventò il maggior esperto italiano. Oltre a pubblicare ricerche in quest’ambito, Rosa si dedicava alla traduzione e curatela delle opere di Ernst Haeckel, che all’epoca era uno dei più famosi zoologi al mondo. La carriera lo portò a trasferirsi da Torino a Sassari e poi a Modena, dove nel 1902 diventò professore ordinario. Rosa continuò a spostarsi anche negli anni successivi, accettando diversi incarichi in atenei e istituzioni del nord e centro Italia (Firenze, Torino, Pisa), ma rimase sempre legato a Modena, città in cui nel 1932 gli fu riconosciuta la carica di professore emerito.

La redazione della voce Evoluzione per l’Enciclopedia italiana fu uno degli ultimi lavori di Rosa, che aveva al suo attivo una solida produzione scientifica in un campo dove la sua voce era considerata autorevole. In più era anche un accademico, membro di numerose società scientifiche, molto rispettato e ricercato. L’argomento affidatogli dalla Treccani non fu casuale: egli infatti era non solo un evoluzionista, ma nel corso della sua carriera aveva anche sviluppato una sua teoria evolutiva, resa nota nel 1918 in un testo dal titolo Ologenesi: nuova teoria dell’evoluzione e della distribuzione geografica dei viventi.

Di che cosa si trattava? Facciamo un passo indietro. La selezione naturale può essere vista come una causa “esterna” dell’evoluzione: l’ambiente “agisce” sulla variabilità facendo sì che alcuni individui sopravvivano e altri soccombano, in modo non casuale. Rosa, come anche altri evoluzionisti di quel periodo, riteneva che questo “filtro” non bastasse a spiegare la moltiplicazione delle specie e che le cause del cambiamento evolutivo fossero invece “interne” agli organismi. In altre parole, secondo questi studiosi nella materia vivente sarebbe esistita una tendenza innata verso il cambiamento e il perfezionamento. La teoria di Rosa, però, si differenziava dalle altre appartenenti allo stesso filone. Secondo lo studioso, nel materiale ereditario degli individui della stessa specie vi sarebbe stato “pre-programmato” un momento in cui la specie avrebbe dovuto dividersi in due specie “figlie”. Questo sarebbe stato in analogia al programma per cui le cellule di un embrione “sanno” come e quando dividersi e differenziarsi. La divisione dicotomica in specie figlie sarebbe stata anche asimmetrica, come nelle cellule che si differenziano: le specie risultanti avrebbero avuto caratteristiche simili ma non uguali – altrimenti non sarebbero state tra loro distinte – e avrebbero continuato a evolvere, secondo le stesse modalità, a ritmi diversi.

Rosa ammetteva comunque che la selezione naturale potesse spiegare, nelle fasi precedenti e successive la divisione in due specie, un lento adattamento all’ambiente. Inoltre, il meccanismo di divisione dicotomica a partire da un’origine comune avrebbe prodotto più specie di quante fossero osservabili (esistenti o fossili), per cui la selezione poteva essere stata responsabile dell’estinzione della maggior parte di esse. Rosa rifiutava però l’idea di selezione come “forza creatrice” dell’evoluzione, che sarebbe invece dipesa da proprietà intrinseche del materiale ereditario, non condizionate dall’ambiente esterno.

L’eclissi di Daniele Rosa

Il darwinismo tornò definitivamente in voga nel Novecento, quando furono riscoperti i lavori di Gregor Mendel sui caratteri ereditari (che Darwin non conosceva). Nacque così la genetica, cioè lo studio sistematico (e matematico) dell’ereditarietà. In seguito si sviluppò la genetica di popolazione, tramite la quale gli scienziati compresero le leggi che regolano la variabilità all’interno di gruppi di individui che si riproducono tra loro. Diventò così sempre più chiaro come la selezione naturale fosse effettivamente una delle “forze” principali del cambiamento (anche se non l’unica), poiché aveva il potere di cambiare la frequenza con cui certi caratteri si manifestano e quindi la loro probabilità di essere trasmessi alla generazione successiva. Poco prima della morte di Rosa, nel 1942, Julian Huxley pubblicò il testo Evoluzione – La sintesi moderna, in cui, rivolgendosi a un pubblico più ampio rispetto ai soli addetti ai lavori, spiegava come la scienza aveva riconciliato selezione naturale (darwinismo), evoluzione e genetica, creando un paradigma che unificava tutte le discipline biologiche. Le teorie evoluzionistiche non-darwiniane, compresa quella di Rosa, venivano quindi sorpassate da nuovi dati e prove. Ma anche prima di questa seconda rivoluzione darwiniana la teoria di Rosa fu molto criticata. Si trattava di una teoria radicale e il meccanismo proposto da Rosa, per quanto ingegnoso, era speculativo. Non vi erano infatti prove dirette di alcuna “tendenza inesorabile” delle specie a scindersi in modo “programmato”.

Tutto ciò però non spiega perché Rosa sia stato dimenticato, a differenza di altri nomi associati all’eclissi del darwinismo. Non ci sono risposte semplici sul perché sia accaduto, ma i (pochi) storici che hanno lavorato su Rosa fanno presente che, per esempio, Rosa non pubblicò mai in inglese, che stava diventando la nuova lingua franca della scienza. Le sue idee circolarono tra i biologi anglosassoni (che sarebbero poi diventati cruciali per l’avanzamento dell’evoluzionismo) attraverso traduzioni parziali, che non rendevano la complessità del suo pensiero e che per questo erano facili da liquidare. Sempre a proposito di lingua, è interessante notare che fu proprio Rosa ad avanzare la proposta di una “lingua artificiale” per la comunicazione internazionale, simile negli scopi all’esperanto. Si chiamava nov latin ma, per quanto un’idea originale, fu (come l’ologenesi) senza successo.

Il posto di Rosa nella storia della scienza

Negli ultimi vent’anni il pensiero di Rosa è stato però rivalutato, tanto che dal 2020 esiste anche un progetto interdisciplinare dell’università di Modena, Le cause dell’evoluzione, che raccoglie tutti i lavori di e su Daniele Rosa. Da un lato, una storia dell’evoluzionismo in Italia non può definirsi completa senza che siano esaminate anche figure come la sua. Dall’altro, che l’ologenesi sia stata smentita come teoria non esclude che possa contenere intuizioni che potrebbero rivelarsi invece interessanti oggi.

Nelle sue argomentazioni Rosa riconosceva, per esempio, un legame profondo tra lo sviluppo embrionale di un organismo e la sua evoluzione. Aveva capito che il cambiamento evolutivo di una forma vivente non è totalmente “libero”, bensì è vincolato dalle possibilità e dai limiti di quello che il materiale ereditario – oggi sappiamo che è il DNA – può costruire attraverso lo sviluppo. Questo è il motivo (per esempio) per cui il collo di un vertebrato può essere più o meno lungo nelle diverse specie, ma contiene nella quasi totalità dei casi lo stesso numero di vertebre: sette. Rosa rifletteva quindi sugli stessi temi oggetto di analisi della biologia evoluzionistica dello sviluppo (o evo-devo, da evolutionary developmental biology), una disciplina nata negli ultimi decenni e che indaga, appunto, la relazione tra sviluppo embrionale ed evoluzione.

Inoltre il meccanismo di speciazione elaborato da Rosa, che forma nel tempo raggruppamenti di specie tra loro imparentate, ha affinità con la sistematica filogenetica, detta anche cladistica. Si tratta della disciplina che ordina le specie e i raggruppamenti superiori per ricostruire le loro relazioni evolutive a partire dall’osservazione quantitativa dei caratteri. Darwin aveva previsto che un giorno la sistematica sarebbe stata condotta in questo modo, ma solo dopo la Seconda guerra mondiale un biologo tedesco propose con successo le fondamenta per un metodo. Forse questo studioso, che si chiamava Willi Hennig, era stato influenzato anche dalla lettura dei lavori di Rosa, avendo passato del tempo in Italia prima di pubblicare i suoi metodi.

Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.
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