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Dalle granite degli Egizi agli odierni surgelati

La tecnologia del raffreddamento e della congelazione degli alimenti ha contribuito fortemente al benessere e alla salute della nostra specie attraverso i secoli. Un excursus storico dell’evoluzione di queste tecnologie, la cui importanza anche sanitaria è spesso sottovalutata.

 

In casa, frigoriferi e freezer ci mettono a disposizione alcune centinaia di litri di volume in cui la temperatura è mantenuta più bassa rispetto a quella della stanza in cui si trovano. Questo rallenta moltissimo la proliferazione degli onnipresenti microrganismi e, se ben usati, ci permettono di non sciupare il cibo e ci proteggono da accidentali intossicazioni alimentari. Ma il più delle volte il cibo che compriamo viene da lontano, e spesso ha viaggiato in condizioni simili a quelle del freezer o del frigorifero in cui lo riponiamo. Questo è possibile grazie a un’infrastruttura mondiale di magazzini frigoriferi che sono collegati da veicoli che a loro volta, montano scomparti frigoriferi e garantiscono che non si interrompa la cosiddetta “catena del freddo”. Il volume del nostro frigo, quindi, è solo una piccolissima parte di quello che la nostra specie ogni giorno raffredda grazie alla tecnologia. Anche molti farmaci, tra cui i vaccini, devono essere mantenuti a basse (o bassissime) temperature perché non perdano efficacia. Uno dei motivi per cui non abbiamo ancora la salute globale è proprio la mancanza di un’adeguata catena del freddo in alcuni Paesi.

Viene spontaneo quindi chiedersi come facesse la nostra specie prima, almeno per quanto riguarda i cibi. I nostri predecessori non avevano meno inventiva di noi, e nel tempo hanno escogitato una varietà di metodi ingegnosi per mantenere al fresco gli alimenti.

 

Alla ricerca del freddo

Nella preistoria non c’erano molte alternative per refrigerare i cibi e le persone usavano quello che esisteva in natura: caverne e grotte, per esempio, ma anche i corsi d’acqua potevano diventare “frigoriferi naturali”. Va comunque ricordato che la refrigerazione non è l’unico modo per rallentare il deterioramento dei cibi: essiccazione, salagione, affumicatura, e fermentazione sono solo alcuni dei metodi che usiamo ancora oggi e che emersero precocemente nella storia umana.

Con l’affermarsi dell’agricoltura l’esigenza di conservare il surplus alimentare è diventato sempre più importante. Bisognava conservare non solo il cibo, ma anche i semi da ripiantare. I primi “frigo” spesso non erano altro che fosse, variamente rivestite e isolate. Nei primi metri di terreno la temperatura è più stabile e, nella bella stagione, più bassa che in superficie. Con un’adeguata areazione si riusciva anche a mantenere un microclima sufficientemente secco. Anche i recipienti in ceramica aiutavano a ottenere il “fresco e asciutto” essenziale per conservare diverse derrate.

 

Conservare e creare il ghiaccio

Le civiltà impararono presto a immagazzinare ghiaccio e neve e a utilizzarli per mantenere a lungo bassa la temperatura di particolari edifici: le ghiacciaie. La materia prima era raccolta d’inverno o in quota, avvolta in materiali isolanti (come la paglia) e trasportata fino alla ghiacciaia. Dove possibile, questi edifici erano costruiti in luoghi già piuttosto freschi, per esempio vicino a un lago o un corso d’acqua. Erano a loro volta ben isolati, e spesso si sviluppavano anche in profondità. In queste condizioni il ghiaccio si scioglieva molto lentamente, garantendo per mesi un ambiente freddo adatto a conservare i cibi.

A seconda delle culture, il prezioso ghiaccio poteva anche essere usato direttamente per raffreddare le bevande, come succedeva in Grecia, in Mesopotamia e nell’Antico Egitto. Si dice che Cleopatra abbia servito a Cesare e Antonio una sorta di granita fatta con succo di frutta e ghiaccio; la parola “sorbetto” deriva dal persiano “sharbat”, uno sciroppo ghiacciato fatto con frutta e petali di fiori. In alternativa si poteva usare il salnitro (nitrato di potassio), che a contatto con l’acqua ha una reazione endotermica, ovvero che assorbe calore: i Romani per esempio lo usavano per raffreddare il vino.

Le più avanzate ghiacciaie dell’antichità erano probabilmente gli yakhchāl, sviluppati nel Paese che oggi chiamiamo Persia circa 3.700 anni fa. Qui il clima è caratterizzato da inverni miti (raramente si scende sotto lo zero) ed estati calde e secche. Eppure i persiani non solo riuscivano a conservare ghiaccio tutto l’anno, ma anche a produrlo. Gli yakhchāl erano costruiti in modo simile a una normale ghiacciaia, con una parte sotterranea in cui si immagazzinava il ghiaccio, sormontata da un’alta cupola conica ben isolata e impermeabile con un’apertura in cima. L’aria calda sale ed esce dalla parte superiore della cupola, attirando aria più fresca dalla base, spesso in comunicazione con canali sotterranei (“qanat”). Questo flusso d’aria aiuta a mantenere una temperatura fresca all’interno della struttura grazie al raffreddamento evaporativo, il fenomeno per cui l’evaporazione dell’acqua sottrae calore all’aria (come succede col nostro sudore). Intorno alla cupola c’erano anche delle grandi vasche poco profonde, che talvolta venivano riempite con l’acqua dei qanat. Nelle notti più fredde e secche, senza nubi, era possibile la formazione del ghiaccio grazie sia al raffreddamento evaporativo sia al raffreddamento radiativo, cioè il trasferimento di calore dalla superficie terrestre verso lo spazio. Il ghiaccio veniva poi raccolto e messo nella cupola.

Con lo stesso principio, anche gli antichi Egiziani e Indiani producevano piccole quantità di ghiaccio, lasciando all’aperto di notte bassi contenitori di argilla riempiti d’acqua. Queste civiltà furono anche tra le prime a inventare il frigorifero di terracotta, nel quale si pone un vaso all’interno di un contenitore più grande e lo spazio tra i due è riempito con sabbia bagnata. Così l’evaporazione mantiene a bassa temperatura il vaso all’interno.

 

Una lenta rivoluzione

La prima macchina refrigerante fu realizzata dal medico scozzese William Cullen già a metà del Settecento. Cullen usò una pompa per creare un vuoto parziale in un recipiente pieno di etere, una sostanza organica; poi fece bollire l’etere sottraendo calore, e così si formò del ghiaccio sulle pareti del contenitore.

Dall’esperimento di Cullen ci volle più di un secolo, molti brevetti e molti fallimenti perché si riuscisse a passare dai princìpi a una tecnologia di successo. Infatti, fino agli inizi del Novecento le ghiacciaie erano ancora la norma. Erano diventate più sofisticate, e le operazioni di estrazione e trasporto della materia prima più ampie e organizzate: il ghiaccio viaggiava addirittura via nave. Nell’Ottocento arrivarono anche le ghiacciaie domestiche, chiamate anche semplicemente frigoriferi, che non erano altro che armadietti “alimentati” da pezzi di ghiaccio che erano rimpiazzati man mano che fondevano.

Nel frigorifero, invece, un compressore comprime il gas refrigerante e lo invia a un condensatore, dove il gas passa allo stato liquido. Il liquido attraversa poi un evaporatore, dove, a pressione più bassa, passa nuovamente allo stato gassoso. L’evaporazione del liquido sottrae calore, che viene trasferito nella stanza, e in tal modo si raffredda l’interno del frigorifero. Si tratta del ciclo a compressione di vapore ed è alla base delle più comuni pompe di calore in commercio, cioè frigoriferi e condizionatori d’aria.

Nel 1837 lo statunitense Jacob Perkins fu il primo a costruire una macchina di questo tipo, anche se trent’anni prima il suo connazionale e collaboratore Oliver Evans aveva proposto questo sistema, senza però realizzare la macchina. All’inizio servivano a fabbricare artificialmente il ghiaccio e il compressore era alimentato da un motore a vapore. Poi arrivò l’elettricità e nacquero prima i grandi frigoriferi industriali e infine l’elettrodomestico che tutti conosciamo. Il primo modello di successo fu il DOMELRE (dall’inglese “DOmestic ELectric Refrigerator”), del 1913, e da lì a pochi decenni le ghiacciaie poterono andare in pensione. Alla fine arrivarono anche i freezer domestici.

 

Frigoriferi, salute e ambiente

I primi frigoriferi e freezer usavano gas infiammabili o corrosivi che potevano fuoriuscire dal circuito e quindi erano piuttosto pericolosi all’interno di un’abitazione. Per questo motivo i fisici Leó Szilárd e Albert Einstein negli anni Venti brevettarono un frigorifero ad assorbimento, che invece di usare un compressore alimentato a elettricità utilizzava una fonte di calore: l’assenza di parti mobili (il compressore) annullava il rischio di perdite. Il principio del frigo di Einstein-Szilárd è ancora usato per alcuni frigoriferi portatili, per esempio quelli per i camper, ma è utile anche per raffreddare i vaccini dove non c’è elettricità. Il calore necessario può essere generato da una batteria ricaricabile, oppure usando direttamente l’elettricità prodotta da pannelli fotovoltaici. In questo caso, quando i pannelli sono in funzione, l’apparecchio accumula una scorta di ghiaccio che mantiene il frigo alla giusta temperatura per lunghi periodi, anche quando i pannelli non sono operativi.

Dagli anni Trenta tutto cambiò con i clorofluorocarburi, noti commercialmente come Freon. Questi gas refrigeranti sono sicuri per le persone, ma molti decenni più tardi si scoprì che distruggono l’ozono stratosferico, un gas che si può accumulare in uno strato dell’atmosfera e che scherma la Terra dalle radiazioni. Oggi sono stati sostituiti da composti affini, gli idrofluorocarburi, che però sono gas serra e quindi contribuiscono ad alimentare i cambiamenti climatici.

Di sicuro non possiamo rinunciare né ai frigoriferi né ai condizionatori, che usano la stessa tecnologia, quindi è necessario trovare il modo di ridurre gli impatti. Da una parte si può aumentare l’efficienza degli apparecchi e incentivare il corretto smaltimento dei gas a fine vita, dall’altra si stanno cercando nuovi composti che li sostituiscano.

 

Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.
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