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Un’amputazione di 31.000 anni fa

Nel Borneo, oggi un’isola dell’arcipelago malese, un gruppo di archeologi australiani ha ritrovato uno strano scheletro privo del piede. Le ossa della gamba, recuperate insieme al reperto, indicano che l’individuo è sopravvissuto almeno nove anni dopo la rimozione del piede. Sembrerebbe infatti essersi trattato di un’amputazione e non della perdita accidentale in seguito a un trauma. Non ci sarebbe nulla di strano se lo scheletro non avesse 31.000 anni. Nessuno tra gli esperti immaginava che all’epoca dei cacciatori-raccoglitori qualcuno fosse in grado di eseguire una vera e propria amputazione. I risultati della ricerca sono stati da poco pubblicati su Nature.

Gli etologi ci dicono che molti animali si curano. Alcuni, per esempio, ingeriscono sostanze naturali che trovano nell’ambiente per combattere i parassiti, mentre altre specie impiegano, per esempio, erbe per medicarsi le ferite. Forse anche i primi esseri umani hanno cominciato a curarsi osservando comportamenti di questo tipo in altre specie, prima di sviluppare i primordi di quella che oggi chiamiamo medicina.

Non è per niente facile ricostruire l’evoluzione della medicina nel periodo che precede l’invenzione della scrittura. È necessario basarsi, di fatto, solo su quello che raccontano le ossa dei nostri antenati. Molti studiosi fino a poco tempo fa ritenevano che alcune grandi innovazioni mediche, come la chirurgia, avessero iniziato a svilupparsi nelle prime società stanziali, a partire cioè da circa 10.000 anni fa. Lo scheletro di un agricoltore di 7.000 anni fa con un braccio amputato, ritrovato in Francia, sembrava confermare questa ipotesi, poiché si trattava della più antica testimonianza di amputazione mai rinvenuta fino a oggi.

I risultati di uno studio australiano, pubblicati a settembre 2022 sulla rivista Nature, dimostrano che avevamo sottovalutato le conoscenze mediche delle società di cacciatori-raccoglitori. Già 31.000 anni fa, nelle foreste del Sudest asiatico, si praticavano amputazioni.

Gli scavi nel Borneo

Negli anni Novanta, all’interno di alcune grotte della penisola di Sangkulirang-Mangkalihat, nel Borneo, un gruppo di archeologi aveva scoperto alcune pitture rupestri, che nel 2018 sono state finalmente datate. Risalivano a circa 40.000 anni fa, ed erano più o meno coeve alle più antiche trovate in Europa. Ciò ha convinto un altro gruppo di archeologi australiani e indonesiani a studiare la zona, per saperne di più sugli esseri umani che avevano creato quelle opere.

Nel 2020 gli studiosi si sono inoltrati nella foresta pluviale e hanno avviato uno scavo nella caverna calcarea di Liang Tebo, la cui volta è decorata appunto da queste pitture. E si sono imbattuti in uno scheletro umano. Fu subito evidente che si trattava di una sepoltura, dato che le ossa giacevano sotto tre pietre (una in corrispondenza della testa e le altre delle braccia), a marcare con ogni probabilità la posizione di una tomba. C’era anche un nodulo di ocra, un pigmento e alcuni oggetti di selce: tutte indicazioni che il cadavere era stato preparato e non era rimasto sepolto accidentalmente dai sedimenti.

A causa della pandemia di Covid-19, gli archeologi sono stati costretti a interrompere il lavoro a Liang Tebo, ma hanno fatto in tempo a completare perlomeno l’escavazione dello scheletro. Il piede sinistro, però, mancava all’appello.

Identikit di TB1

Il reperto è stato battezzato TB1, dal nome della grotta. Lo scheletro apparteneva probabilmente a un maschio di 19 o 20 anni, morto tra i 30.000 e i 31.000 anni fa, stando alla datazione della tomba e dei resti. Si tratta quindi della più antica sepoltura mai rinvenuta nel Sudest asiatico insulare. Ma la vera sorpresa è stata scoprire che il piede sinistro mancante era stato amputato. Le analisi sulle ossa della gamba, la tibia e la fibula, mostrano che il tessuto osseo era infatti cresciuto rimodellandosi sulle estremità. In base a questo dettaglio gli esperti stimano che, dopo l’asportazione del piede, TB1 sia sopravvissuto per 6-9 anni, e che dunque non sia morto subito dopo quel trauma.

Il taglio delle ossa della gamba è netto, per cui è ancora più improbabile che la perdita del piede sia stata accidentale. Gli scienziati escludono poi che possa essere stata provocata dall’attacco di un animale, in quanto un morso avrebbe quasi certamente prodotto, in assenza di antibiotici, un’infezione. La ferita di TB1, invece, risulta guarita perfettamente. Pertanto è altrettanto implausibile che il piede sia stato tagliato per punizione. Sembra piuttosto che questo individuo sia stato operato e curato. I ricercatori hanno concluso di trovarsi di fronte al risultato di un complesso intervento medico realizzato in tempi assolutamente non sospetti, cioè nel tardo Pleistocene.

Ripensare la medicina preistorica

Durante la rivoluzione neolitica, gli esseri umani cominciarono a scoprire i vantaggi dell’agricoltura e a diventare sempre più stanziali. Le società umane divennero nel tempo più ampie, complesse e stratificate e gli individui più specializzati. Proprio in seguito a queste evoluzioni, comparvero anche nuove malattie. Sembra naturale che di conseguenza si sia sviluppata anche un primordio di medicina, e così probabilmente è stato. La scoperta di TB1, totalmente inaspettata, dimostra però che c’è ancora molto che non sappiamo. Per mettere il tutto in prospettiva, pensiamo che questo intervento chirurgico è stato realizzato mentre nell’altro emisfero scorrazzavano ancora i mammut.

Chi ha eseguito l’amputazione apparteneva a una società di cacciatori-raccoglitori e doveva essere consapevole di quello che stava facendo: forse non era nemmeno la prima volta che “operava”. Non sappiamo come abbia acquisito le conoscenze anatomiche necessarie nella densa foresta del Borneo, ma lo scheletro è lì a dimostrare che è successo.

Il giovane paziente deve essere stato curato anche dopo l’intervento, dato che la ferita è stata con ogni probabilità bendata e pulita regolarmente. Gli autori su questo possono solo fare speculazioni, ma è verosimile che le infezioni siano state tenute a bada sfruttando la ricchezza di piante medicinali offerte dalla foresta stessa. E forse altre piante sono state impiegate anche come anestetico e per combattere il dolore postoperatorio.

Aggiungiamo che il giovane sopravvissuto all’intervento di certo non era più autonomo e non sarebbe potuto sopravvivere per anni senza una comunità che se ne prendesse cura. Mentre succedeva tutto questo, il Borneo non era ancora un’isola ed era ancora collegato all’Asia via terra. Da lì, molto tempo prima, altri esseri umani erano già partiti per colonizzare l’Australia. Perché, allora, alcuni individui del tutto simili a noi non avrebbero potuto imparare a eseguire determinati interventi chirurgici? Come ha scritto l’archeologo australiano Tim Maloney, che ha guidato lo studio: “La nuova scoperta si aggiunge a una crescente mole di prove secondo cui i primi gruppi umani moderni a raggiungere la nostra parte del mondo, decine di migliaia di anni fa, avevano conoscenze e abilità mediche che vanno oltre quanto si pensava in precedenza”.

Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.
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