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Ci ha lasciato Harald zur Hausen, il Nobel che ha scoperto il legame tra il papillomavirus e il tumore del collo dell’utero

Se oggi possiamo prevenire gran parte dei tumori alla cervice uterina con un vaccino è anche merito di Harald zur Hausen, il medico e virologo premio Nobel che ha individuato nel virus del papilloma umano la causa principale di questa neoplasia.

Il 28 maggio 2023, all’età di 87 anni, il medico e virologo Harald zur Hausen è morto ad Heidelberg, in Germania. Pochi giornali in Italia lo hanno ricordato, eppure zur Hausen ha dato un contributo fondamentale alla ricerca oncologica, per cui nel 2008 ha ricevuto il premio Nobel per la fisiologia o la medicina. Quell’anno metà del premio fu assegnata a Luc Montagnier e Françoise Barré-Sinoussi per la scoperta del virus HIV, responsabile dell’AIDS. L’altra metà andò invece a zur Hausen per aver riconosciuto che alcuni tipi di papillomavirus umano (HPV) sono responsabili della quasi totalità dei casi di cancro al collo dell’utero o cervice uterina.

La scoperta di zur Hausen aprì la strada allo sviluppo di un vaccino, approvato nel 2006 negli Stati Uniti e in Italia l’anno successivo, che previene l’infezione da specifici ceppi di HPV, all’origine dello sviluppo tumorale. Era la seconda volta nella storia che un cancro poteva essere prevenuto con un vaccino. Il primo era stato quello contro l’epatite B, un’infezione che può promuovere, tra le altre cose, il cancro al fegato.

Breve storia di un tumore femminile

Negli antichi testi di medicina, compreso il corpo Ippocratico, si trovavano già descrizioni del cancro alla cervice uterina. Nel tempo tali resoconti divennero più accurati, grazie anche all’invenzione di strumenti specifici come lo speculum, che permette di mantenere aperti gli orifizi mentre si svolge un esame visivo. Per quanto riguarda però le cause e le terapie, per molti secoli non ci sono stati progressi, come del resto per gli altri tipi di tumore. La malattia non lasciava scampo. Solo nel corso dell’Ottocento, con l’evoluzione delle procedure di autopsia e di anatomia patologica, è stato possibile conoscere meglio questa patologia. Fu proprio in questo periodo che il medico Rudolf Virchow elaborò la teoria per cui il cancro origina dalla moltiplicazione di cellule anomale, sviluppate a loro volta da cellule sane. Nasceva così la moderna oncologia. Per il cancro alla cervice, si era poi cominciato a praticare la rimozione chirurgica dell’utero, detta isterectomia, e in seguito la radioterapia. All’inizio gli interventi erano molto pericolosi, ma nel corso del Novecento diventarono più affidabili e sicuri. Nel 1941 Georges Papanicolau rivoluzionò tutto con il suo Pap test, il primo esame usato poi come screening per identificare precocemente il cancro della cervice. Nel dopoguerra arrivò anche la chemioterapia, ma si continuava a non comprendere da dove originasse questo tumore.

All’origine del tumore della cervice

Già nel 1842 il medico Domenico Rigoni-Stern notò che, statistiche alla mano, il cancro alla cervice colpiva molto di più le mogli rispetto alle suore o alle donne nubili che non avevano rapporti sessuali. Quando anche altri osservarono che l’incidenza del tumore cambiava in relazione allo status matrimoniale, si pensò che le lesioni provocate dal parto favorissero la formazione del tumore. Prima del Novecento era infatti in voga la teoria che irritazioni, infiammazioni e traumi fossero cancerogeni. Tuttavia, in seguito statistiche più raffinate smentirono queste ipotesi e si cominciò a collegare i sintomi a un’infezione trasmessa per via sessuale. Già dall’inizio del secolo scorso, negli animali si era scoperta l’esistenza di virus oncogeni, in grado cioè di indurre nelle cellule mutazioni cancerogene. Negli anni Sessanta si ebbe poi la conferma che virus simili erano in grado di infettare anche gli esseri umani. Tra questi agenti virali, era nota la capacità del virus Epstein-Barr di causare il linfoma di Burkitt, oltre alla mononucleosi infettiva.

Tanti tipi di papillomavirus

Dopo aver lavorato sul virus Epstein-Barr e sul linfoma di Burkitt, negli anni Settanta Harald zur Hausen decise di dedicarsi allo studio del cancro alla cervice, determinato a comprenderne l’origine. Nutriva forti sospetti sul ruolo del virus herpes simplex di tipo 2, ma non riusciva a trovare tracce del suo DNA nei campioni delle biopsie di pazienti con questo tipo di tumore. Lesse poi che i condilomi, ovvero le verruche genitali, sono tumori benigni che possono, anche se raramente, evolvere in carcinoma a cellule squamose. Proprio in queste verruche, che possono apparire anche in altre parti del corpo, era stato trovato il papillomavirus. A zur Hausen venne così il dubbio che potesse essere la stessa infezione a causare sia i condilomi sia il tumore al collo dell’utero. Se così fosse stato, il DNA dell’HPV si sarebbe dovuto trovare all’interno delle cellule sia delle verruche sia del tumore del collo dell’utero. Era giunto il momento di dimostrarlo.

Si rivelò però più facile a dirsi che a farsi. Lo scienziato e i suoi collaboratori scoprirono presto che esiste una moltitudine di ceppi di HPV, la maggior parte relativamente innocua. Per esempio, le verruche dei piedi, dei genitali e la papillomatosi laringea sono dovuti a ceppi distinti di papillomavirus. Questo complicava l’identificazione dell’ipotetico virus anche nei tumori al collo dell’utero. Ci vollero anni, ma grazie allo sviluppo delle tecniche di biologia molecolare i ricercatori cominciarono a sequenziare i diversi tipi di HPV estratti dalle verruche. Usarono poi parti di queste sequenze di DNA come sonde per cercare tracce del genoma dell’HPV nelle biopsie tumorali. A un certo punto scoprirono che la sonda di HPV-11, responsabile delle verruche ai genitali, era molto simile a quello presente nei tumori, ma non era ancora lo stesso tipo. Finalmente nel 1983 riuscirono a isolare HPV-16 e l’anno dopo HPV-18: il 70 per cento dei tumori al collo dell’utero era positivo al DNA di questi virus. Si scoprì anche che i geni di HPV-18 si trovavano nelle cellule HeLa, la linea cellulare ottenuta dal tumore della cervice della paziente americana Henrietta Lacks. Le cellule originate dal suo tumore sono utilizzate ancora oggi nei laboratori di tutto il mondo (ne abbiamo già parlato qui).

Nel 1985 zur Hausen e i suoi collaboratori identificarono i due geni virali responsabili delle mutazioni tumorali nelle cellule. Identificarono anche altri ceppi di virus che, assieme a HPV-16 e 18, sono responsabili della quasi totalità dei casi di cancro alla cervice, ma anche di un’ampia casistica di altri tumori, come quelli al pene, alla vagina, all’ano e orofaringei. Le prove che il cancro della cervice era causato da specifici tipi di HPV erano ormai talmente convincenti che la comunità scientifica accettò le evidenze. Negli anni Novanta, a queste scoperte seguirono, da parte di altri scienziati, le ricerche per lo sviluppo di un vaccino per la prevenzione del tumore alla cervice.

Una controversia su un Nobel meritato

Nel 2008, a due anni dall’entrata in commercio del primo vaccino, zur Hausen ricevette un’importante telefonata da Stoccolma: gli era stato assegnato il Nobel. Allo stesso tempo però scoppiò una polemica. Alla consegna dei premi, alcuni media svedesi accusarono la casa farmaceutica Astrazeneca di aver “comprato” il riconoscimento a zur Hausen per guadagnare di più attraverso le royalties. Dal 2007 l’azienda possedeva infatti un brevetto necessario a produrre il vaccino, dalla cui cessione a due case farmaceutiche avrebbe tratto profitto. C’erano inoltre dei sospetti sui legami troppo stretti in apparenza tra l’azienda e l’organizzazione che assegna i premi Nobel. Astrazeneca aveva infatti da poco cominciato a collaborare col sito internet della Fondazione Nobel. Inoltre 2 dei 50 membri del comitato per l’assegnazione del premio per la fisiologia o la medicina avevano legami con l’azienda: uno aveva ricevuto 1.400 dollari nel 2006 per condurre ricerche nel suo laboratorio, mentre all’altro erano stati riconosciuti 30.000 dollari, nel 2007, come membro del comitato scientifico di Astrazeneca. In Svezia fu così avviata un’indagine.

Nel mondo della scienza i conflitti di interesse non sono una novità, ma in questo caso la polemica si rivelò essere infondata. Infatti, le persone e gli enti che a diverso titolo contribuivano a gestire il sito internet della Fondazione Nobel, o a sostenerne i costi, non avevano alcun ruolo nella scelta dei premiati. La collaborazione era, peraltro, cominciata dopo l’annuncio dell’assegnazione dei riconoscimenti, avvenuto a ottobre 2008. Inoltre i legami dei due membri del comitato con Astrazeneca erano stati dichiarati, come impongono le regole e le prassi per la gestione dei conflitti di interesse reali o apparenti nel mondo della ricerca scientifica.

Nessuno era invece a conoscenza del brevetto di proprietà della casa farmaceutica. In questi casi però le royalties sarebbero state la proverbiale goccia nel mare: entrate irrilevanti rispetto ai ricavi totali dell’azienda, che si attesta sulle decine di miliardi di dollari.

Bisogna inoltre considerare che la decisione di premiare zur Hausen fu presa da un’assemblea di 50 membri, sui quali è inverosimile pensare che abbiano potuto esercitare un’ipotetica influenza decisiva i 2 membri legati all’azienda e oggetto di accuse. Ogni ombra è stata rimossa dalla reputazione di zur Hauser e delle persone coinvolte in questa vicenda.

Nonostante l’infondatezza, questa vicenda insegna come la trasparenza non sia mai troppa, sottolineando ancora una volta quanto è necessario discutere e dichiarare tutte le eventuali relazioni, anche solo apparenti o indirette, tra premiati e sponsor della Fondazione Nobel.

L’eredità di Harald zur Hausen

L’immenso lascito di Harald zur Hausen sono oggi i vaccini anti HPV, basati sulle sue scoperte e autorizzati nel mondo. Oggi i vaccini sono 6, proteggono per molti anni dall’infezione e quindi dai tumori che può causare, e hanno già contribuito a salvare milioni di persone, perlopiù donne. Nel nostro Paese la vaccinazione è gratuita per ragazze e ragazzi a partire dagli 11 anni di età. L’Organizzazione mondiale della salute (OMS) stima che se vaccini, screening e terapie fossero messi a disposizione anche dei Paesi poveri, oggi sarebbe possibile eradicare il tumore della cervice.

Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.
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