I dati di uno studio, pubblicati di recente su Nature Communications, mostrano che il livello di energia delle onde oceaniche è aumentato negli ultimi anni. Il fenomeno sembra essere associato all’aumento delle temperature globali: un ulteriore segnale della pericolosità della crisi climatica per la salute e la sopravvivenza degli esseri umani. E non solo.
La Terra trema in risposta al riscaldamento globale. E no, non solo in senso figurato. L’osservazione dei fenomeni sismici degli ultimi decenni ha mostrato che l’energia delle onde oceaniche che impattano sui fondali è aumentata di pari passo con i cambiamenti climatici. Si tratta di una forza della natura che agisce senza sosta e che viene captata e misurata con le stesse tecnologie utilizzate per registrare le onde sismiche. E la potenza di tali onde è cresciuta notevolmente dalla fine del ventesimo secolo a oggi.
Il fenomeno è stato osservato in molte parti del mondo dove esistono misuratori, ma soltanto da poco gli scienziati sono stati in grado di documentare con dati concreti l’intensificazione dei cosiddetti microsismi, le perturbazioni del suolo che si generano di conseguenza a crescere dell’energia delle onde, rivelando che si tratta di un problema di portata globale. Dopo un lungo lavoro di osservazione e di elaborazione di dati sia regionali sia globali, i ricercatori della Colorado State University, dell’Albuquerque Seismological Laboratory e della Harvard University hanno pubblicato i risultati sulla rivista Nature Communications a novembre 2023.
Acqua, aria e microsismi
Conosciamo i sismografi principalmente come strumenti con cui i ricercatori studiano i terremoti. Più in generale, questi dispositivi sono utilizzati per monitorare le vibrazioni della superficie della crosta terrestre in conseguenza di eventi più profondi, come eruzioni vulcaniche o esplosioni sotterranee. Le reti di stazioni sismiche sono inoltre adatte a cogliere segnali anche di altra natura, come l’impatto di grossi meteoriti, il crollo di frane, il distacco di porzioni di ghiacciai. Ma riescono anche ad aiutare chi studia l’andamento delle onde oceaniche. In che modo?
Grazie alla loro sensibilità e versatilità, i dispositivi impiegati dai sismologi registrano infatti fenomeni che all’apparenza hanno meno a che fare con i tipici film sulle catastrofi, per esempio gli effetti dei venti e, appunto, delle masse d’acqua sui suoli e sui fondali marini. Il binomio di vento e acqua, proprio dei fenomeni ondosi, non solo rende i mari increspati in superficie, ma scuote anche i fondali, con sollecitazioni che interessano in modo incessante l’intero pianeta. E da questo punto di vista le onde oceaniche sono sorvegliate speciali, data la loro mole. L’insieme dei segnali generati dall’interazione tra atmosfera, idrosfera e terraferma è detto microsismo o microsisma globale, ed è a sua volta una componente importante di ciò è chiamato il rumore sismico di fondo.
La parola ai sismografi
Gli autori dell’articolo hanno analizzato dati provenienti da 52 siti sismografici distribuiti in molte parti del mondo per studiare il comportamento delle onde del microsisma dalla fine degli anni Ottanta al 2022. In particolare, si sono concentrati sulle onde che generano il microsisma cosiddetto primario, ovvero quelle che con il loro movimento esercitano forze di trazione sui fondali marini. I loro effetti sono strettamente legati alla profondità: svaniscono a profondità maggiori di circa 300 metri. Sono un buon indicatore, dunque, dell’azione delle onde nei pressi delle zone costiere.
Due cose sono saltate all’occhio. Ben 41 sismografi, pari a circa l’80 per cento di quelli inclusi nello studio, hanno riportato aumenti di energia consistenti e progressivi nel corso dei decenni: in altre parole, il segnale sismico si è intensificato in questo lasso di tempo, in corrispondenza dell’aumento delle temperature degli oceani e dell’atmosfera, causati dal riscaldamento globale di origine antropica. Gli oceani, di fatto, assorbono circa il 90 per cento del calore atmosferico in eccesso legato alle emissioni di gas serra delle attività umane, ed è questo calore che ha reso i mari più tempestosi e le onde oceaniche più energetiche e violente.
Il secondo aspetto che è emerso è l’aumento globale dell’energia media delle onde oceaniche, a un tasso sempre maggiore a partire dal Duemila. Osservato di anno in anno, “sembra un piccolo segnale, ma è progressivo e diventa molto netto quando si hanno più di 30 anni di dati da analizzare” è il commento degli autori.
Un’occhiata al planisfero
Venendo alla geografia, l’aumento maggiore dell’energia delle onde oceaniche che è stato rilevato dagli studiosi è localizzato nella Penisola Antartica, dove le acque sono particolarmente tempestose. È però nell’Oceano Atlantico settentrionale che le onde si sono intensificate più rapidamente negli ultimi decenni, rispecchiando d’altronde l’intensificarsi delle tempeste avvenute tra il Nord America orientale e l’Europa occidentale. Giusto per fare un esempio recente tra molti, la tempesta Ciarán, che ha colpito il continente europeo con precipitazioni e venti da record a novembre 2023. Anche fenomeni climatici periodici di maggiore durata, come El Niño e La Niña, hanno un’influenza sulla portata e la distribuzione delle tempeste globali, che sono osservabili dai dati raccolti dai ricercatori.
Un nuovo sguardo sui punti deboli del pianeta
Inutile girarci intorno: i risultati di questo studio aumentano ancora una volta la consapevolezza che i rischi, soprattutto costieri, legati al clima che cambia sono in aumento in numerose regioni del mondo. Se sommiamo il fenomeno delle onde oceaniche più aggressive al ben noto innalzamento continuo dei livelli del mare, abbiamo motivo di prendere ancora più sul serio la crisi climatica e di rafforzare il nostro impegno nelle iniziative finalizzate a mitigarla. Occorre inoltre investire per aumentare sempre più le capacità di resistenza delle comunità, delle infrastrutture e degli ecosistemi più vulnerabili.
In parte, lavori come questo offrono nuove chiavi di lettura. Il rumore di fondo di mari e oceani, spiegano gli scienziati, è ben registrato dai sismografi praticamente ovunque nel globo e, proprio per la capillarità delle misurazioni, può essere usato davvero come un segnale dello stato dell’oceano. Insieme alle tendenze su intervalli di tempo più lunghi (quelli secolari, per esempio), i dati sullo stato delle onde oceaniche potranno dunque essere “letti”, a livello globale, attraverso le rilevazioni sismiche. E, oltre ad ammonirci, potranno essere utili a prevedere, e possibilmente prevenire, nuovi disastri.