Nella prima metà dell’Ottocento un medico inglese, Nathaniel Bagshaw Ward, inventò un modo rivoluzionario per trasportare le piante durante i lunghissimi viaggi da un continente all’altro. Le “scatole” di Ward hanno rivoluzionato il florovivaismo e l’agricoltura in generale, oltre ai paesaggi. Anche i moderni terrari e acquari sono stati progettati a partire da quel modello.
Viviamo circondati da piante provenienti da tutto il mondo. I gerani (pelargoni) sui nostri balconi sono originari del Sud Africa, le ortensie vengono dall’Asia. L’indistruttibile pothos da appartamento è nativo della Polinesia, le robinie che colorano i nostri parchi e boschi provengono dagli Stati Uniti, le mimose dall’Australia. Per noi è una consuetudine, ma non è sempre stato così. Come abbiamo fatto a “spostare” le piante da un punto all’altro del globo, prima di imparare a coltivarle e a farle riprodurre in ambienti diversi? Buona parte del merito spetta a una semplice e geniale invenzione, che ha messo in moto la più grande migrazione di piante vascolari della storia: la scatola (o teca) di Ward (in inglese, Wardian case).
L’hobby del dottor Ward
In una lettera datata 23 novembre 1833 il capitano Charles Mallard scriveva: “Il vostro esperimento di preservazione delle piante vive, senza necessità di acqua o aria aperta, è stato un successo completo”. Destinatario della lettera, che era stata spedita dalla Tasmania, era Nathaniel Bagshaw Ward, un medico di Londra. Durante l’estate Ward aveva imbarcato sulla nave del capitano Mallard, diretta a Sydney, due scatole di legno e vetro che ospitavano una selezione di felci inglesi. Le scatole, simili a piccole serre portatili, si potevano sigillare creando al loro interno un sistema chiuso: i vetri lasciavano passare la luce per la fotosintesi, ma l’umidità rimaneva all’interno e veniva riciclata dalla pianta assieme all’aria.
Quelle teche erano un’invenzione di Ward: era l’epoca d’oro dei naturalisti dilettanti e il dottore non faceva eccezione. Già nel 1829 aveva cominciato uno dei suoi numerosi esperimenti, mettendo la pupa di una falena dentro una bottiglia ermeticamente chiusa assieme a un po’ di terreno e a delle foglie secche. Ogni giorno il medico aveva controllato la bottiglia, finché finalmente l’insetto era emerso dal bozzolo. Nel frattempo nel terreno erano germinate due piante, una felce e una graminacea. Ward allora prelevò l’insetto, richiuse la bottiglia e la mise alla luce.
Per Ward era motivo di frustrazione il fatto di non riuscire a far attecchire nel suo piccolo giardino le felci e le altre piante selvatiche che raccoglieva fuori Londra. La rivoluzione industriale era a pieno regime e lo studioso abitava in una zona molto inquinata, non lontana dalle banchine del Tamigi. Ward sapeva che lo smog londinese era dannoso per i suoi pazienti e pensava che potesse esserlo anche per le piante. Quelle all’interno della bottiglia, però, crebbero e addirittura si riprodussero; questo gli suggerì un modo per proteggere le specie più delicate dalle condizioni esterne. Ward cominciò a sperimentare, passando dalle bottiglie a teche di legno e vetro costruite su misura, ottenendo risultati strabilianti con decine di piante diverse.
Piante in viaggio
Mentre perfezionava il design delle teche, Ward cominciò a condividere le proprie esperienze con la propria rete di contatti, che comprendeva naturalisti e vivaisti. Fu grazie a uno di loro che imbarcò le due teche a bordo del Persian, la nave del capitano Mallard.
Ma facciamo un passo indietro. Il modo più ovvio per spostare piante e vegetali in genere è utilizzare i semi. Nel libro dal titolo The Wardian Case lo storico Luke Keogh spiega che questo non è sempre facile, o possibile. Alcuni semi sono delicati, altri sono difficili da raccogliere e non è detto che siano disponibili nel periodo in cui ci si imbatte nella pianta di interesse. In alternativa è possibile trasportare l’intera pianta, e già prima di Ward si usavano a questo scopo diversi tipi di contenitori. I lunghi viaggi via nave, però, erano spesso letali per i vegetali. Esposte alla salsedine e con la necessità di essere accudite per mesi, le piante esotiche perivano prima di arrivare nelle mani dei collezionisti e degli scienziati. Ward comprese che era necessario un sistema chiuso: nelle sue “serre portatili” le piante rimanevano completamente isolate dall’aria marina, non avevano bisogno di irrigazione ed erano protette anche dagli sbalzi di temperatura.
Dopo la tappa in Tasmania, durante la quale il capitano Mallard scrisse la lettera, nel gennaio 1834, a sette mesi dalla partenza, le felci di Ward furono scaricate dalla nave a Sydney e quindi portate al giardino botanico in perfette condizioni. Lì, le “scatole magiche” furono svuotate e poi riempite con piante australiane, che arrivarono a Londra nel novembre del 1834, anche in questo caso in perfette condizioni. Prova e controprova.
Dai collezionisti all’agricoltura, la Wardian case rivoluziona il globo
La scatola di Ward rappresentava una soluzione pratica e poco costosa a un problema molto comune all’epoca. I collezionisti, infatti, erano disposti a tutto pur di possedere la pianta esotica “del momento”, e i vivaisti volevano accontentare le loro richieste. Gli scienziati, come quelli con cui corrispondeva Ward (Darwin incluso), desideravano studiare le piante di territori lontani, mentre i governi e le imprese volevano stabilire nelle colonie piantagioni di importanti colture. È così che nel XIX secolo diverse varietà di banani, alberi di cinchona e della gomma, piante di tè e cacao sono stati trasportati da un punto all’altro del pianeta, rompendo anche importanti monopoli (per esempio, quello del tè in Cina).
Questo enorme spostamento di piante sotto vetro non era all’epoca sottoposto a regole, motivo per cui tale sistema ha anche fatto sì che, negli ambienti di arrivo, si moltiplicassero specie invasive di piante e di piccoli animali e microbi che viaggiavano inconsapevoli con loro. Nel bene e nel male, la scatola di Ward ha cambiato il volto del pianeta in un battito di ciglia: una vera e propria rivoluzione che finì nel XX secolo.
I lunghi viaggi con le navi a vela diventarono in qualche decennio un ricordo e, a partire dagli anni Trenta, le piante poterono essere imbustate nella plastica e spedite velocemente con gli aerei a migliaia di chilometri di distanza. In questo modo si poteva fare a meno di trasportare anche il terreno in cui erano radicate, possibile fonte di patogeni indesiderati. In generale, oggi le piante possono essere trasportate in altri Paesi solo avendo un’autorizzazione e rispettando determinate misure di quarantena. Inoltre, la moda per le piante esotiche non è più così diffusa, mentre i vivai sono in grado di riprodurre decine di piante dei vari continenti senza che sia necessario prelevarle dal luogo d’origine. La scatola magica venne dimenticata da tutti, o quasi.
Un dilettante può cambiare la storia
Ward morì nel 1868 senza visitare mai le terre lontane da cui provenivano le sue piante. In compenso la sua invenzione aveva conferito un fascino esotico ai giardini di tutto il mondo. Il suo angolo di verde a Londra rimase fino alla fine una delle sue gioie più grandi.
Così Luke Keogh descrive Ward nel suo libro: “Era egocentrico, un collezionista ossessivo e devoto, e spesso amava lamentarsi. Ma era anche un uomo onesto che ha operato molto bene. Ha sostenuto nella loro carriera delle dottoresse e ha anche formato delle giardiniere al Chelsea [il Chelsea Physic Garden, il giardino della società degli Apotecari, di cui faceva parte e che allevava piante medicinali, NdR]. Ha incoraggiato i giovani, fossero essi Asa Grey [un celebre botanico statunitense, NdR] o i figli dei suoi numerosi amici. E soprattutto credeva che la sua tecnologia potesse giovare a tutti e ha scelto di non limitarla con i brevetti”.