Le alte temperature potrebbero minacciare la sopravvivenza di oltre il 40 per cento dei vertebrati sulla Terra entro la fine del secolo, secondo i risultati di uno studio pubblicati sulla rivista Nature. I danni saranno minori, però, se riusciremo a contenere il riscaldamento globale. Nel frattempo, prepariamoci al cambiamento.
La sesta estinzione di massa potrebbe essere vicina. L’inesorabile innalzamento delle temperature legato alle intense attività produttive umane aumenta la frequenza, la durata e l’intensità degli eventi termici estremi. L’equilibrio fisiologico di molte specie animali, inclusi gli esseri umani, potrebbe risultarne compromesso, provocandone, a lungo andare, l’estinzione. Se entro il 2099 le temperature saranno salite in media di 4,4°C rispetto al periodo preindustriale, potrebbe scomparire il 40 per cento dei vertebrati presenti ora sulla Terra. Se invece riusciremo a contenere i livelli di gas serra, in modo che le temperature aumentino “solo” di 1,8°C, se ne estinguerà il 6,1 per cento.
Sono questi gli scenari peggiori e migliori calcolati da alcuni ricercatori, uno studio i cui risultati sono stati appena pubblicati sulla rivista inglese Nature. Gli autori sottolineano che i danni aumenteranno quanto più alte saranno le temperature e che la scomparsa di molte specie è inevitabile.
Calcolare i rischi
I ricercatori sono partiti dal definire gli eventi termici estremi come i momenti in cui le temperature hanno superato le soglie abituali in modo significativo, per più di cinque anni di seguito nel periodo tra il 1950 e il 2005.
Gli scienziati hanno prima calcolato le temperature estreme che mammiferi, anfibi, rettili e uccelli hanno patito in una determinata area geografica. In seguito, per tutti gli eventi hanno quantificato la frequenza e la durata, il numero di volte e la media di giorni in cui si sono verificati nel corso di un anno, più l’intensità e il picco medio delle temperature. A questo punto, in base ai dati ottenuti, relativi al periodo 1950-2005, hanno stimato cosa potrà accadere in futuro, immaginando quattro scenari: il primo prevede un aumento della temperatura di 1,8 °C, il secondo di 2,7°C, il terzo di 3,6°C e il quarto di 4,4 °C. Sono così riusciti a costruire delle simulazioni con cui definire una percentuale di rischio di estinzione per ciascuna specie a seconda delle diverse aree geografiche.
Dove e chi sarà più esposto agli eventi estremi
Dai risultati emerge che gli eventi termici estremi interesseranno maggiormente i Paesi vicini all’equatore, le regioni desertiche, sub-aride e le savane, seguite a ruota da alcuni ambienti tropicali. Con un aumento di 4,4°C, fino alla metà delle specie che popolano le isole caraibiche, l’Iraq, l’Arabia Saudita, l’Afghanistan, il Pakistan, il Sud Africa, alcune parti dell’Australia e diverse isole saranno esposte a eventi climatici estremi con un’alta frequenza senza precedenti. Un innalzamento delle temperature entro i 3°C limiterebbe i danni in Paesi e regioni come l’Africa sahariana, l’Iraq, la parte settentrionale del Sudafrica e il Nord-Ovest dell’Australia. Nello scenario migliore invece saranno il 30 per cento delle specie nelle isole caraibiche e del Pacifico a essere più esposte e quindi a rischio di scomparire. In tutti i casi, saranno anfibi e rettili a estinguersi di più rispetto a uccelli e mammiferi, perché sono meno capaci di rispondere agli sbalzi climatici.
Una delle preoccupazioni maggiori che accomuna tutti gli scenari è la prospettiva di un’inevitabile perdita di biodiversità, ossia della varietà e quantità di organismi presenti in un ambiente. Secondo i dati raccolti nello studio, saranno proprio le regioni caratterizzate da una maggiore biodiversità a subire le perdite più gravi. Diretta conseguenza sarà una maggiore fragilità degli ecosistemi, che diventeranno meno abili a limitare la crescita incontrollata di specie invasive. Il rischio è anche che ci troveremo così molto più esposti a batteri, parassiti, virus, piante e animali infestanti, e quindi a malattie ed epidemie.
Abbiamo già cambiato tutto
In tutti gli scenari, lo studio prospetta un futuro di stravolgimenti e trasformazioni del mondo come lo conosciamo oggi, anche senza superare i 2°C di aumento della temperatura prefissati dall’Accordo di Parigi sul clima. Siamo in tempo per cercare di arginare i danni, ma non possiamo fermare il riscaldamento globale.
Il processo di stravolgimento del proprio ambiente operato dall’umanità è in atto da migliaia di anni, da molto prima dell’era preindustriale e dall’impennarsi delle temperature registrate a partire dalla seconda metà del Novecento. La fauna e la flora del mondo che conosciamo oggi sono già il frutto dei drastici mutamenti provocati dall’attività e dagli spostamenti umani. Basta pensare alle estinzioni dei mammiferi di grandi dimensioni, al di sopra di una tonnellata, come mammut, ghepardi giganti o di un enorme marsupiale come il diprotodonte, che la nostra specie ha causato nel Pleistocene. Oppure all’inevitabile contaminazione di piante aliene in ogni parte del globo, innescata dai nostri bisogni alimentari e dalle nostre attività di commercio e trasporto.
La natura reagisce, e noi?
“Quando l’ambiente cambia, la vita alla fine risponde evolvendosi. L’evoluzione è il modo in cui la vita sulla Terra risponde ai disastri” scrive Chris Thomas, biologo evoluzionista e professore all’Università di York, nel suo libro Il mondo di domani. La Natura nell’età dell’estinzione (Aboca, 2020). La natura è abituata a reagire alle trasformazioni: nell’ultimo mezzo miliardo di anni sono avvenute cinque estinzioni di massa e ogni volta le specie sopravvissute, quelle che erano riuscite a trarre vantaggio dalle nuove condizioni, hanno ricominciato a diversificarsi e a moltiplicarsi.
Rimane da chiedersi se gli esseri umani sapranno adattarsi in un mondo così diverso, soprattutto nelle aree geografiche più esposte. Se si avvereranno anche solo gli scenari intermedi dello studio, dovremo affrontare migrazioni di massa ed eventi climatici estremi, come inondazioni, nubifragi, siccità e desertificazione, che coinvolgeranno enormi masse di popolazione senza esclusione. Se invece, come ipotizzato nell’articolo, riusciremo a contenere l’aumento delle temperature al di sotto dei 2°C, gli eventi estremi climatici potrebbero essere più localizzati e la perdita di biodiversità minore. E forse riusciremo ancora a gestire i danni.