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Storia della medicina – Il papiro Ebers e la medicina dei faraoni

Un rotolo scritto, lungo 20 metri e risalente a più di 3500 anni fa, racchiude conoscenze e rimedi in ambito medico, verosimilmente in uso nell’antico Egitto. I riferimenti alla magia non mancano, ma nemmeno alcune idee sorprendenti, raccolte grazie all’osservazione e alla pratica.

Alla biblioteca universitaria di Lipsia, in Germania, dal 2021 si può ammirare un lunghissimo foglio giallognolo pieno di strani caratteri, che misura circa 30 cm per ben 18,63 metri. È la replica del papiro di Ebers, il più famoso documento medico dell’antico Egitto. L’originale, la cui datazione è stata fissata al 1550 a.C. è troppo prezioso e delicato per essere esposto al pubblico: l’ultima volta che ciò è avvenuto è stato nel 2010. Oggi è conservato in un ambiente controllato della biblioteca stessa.

Un tempo il papiro era ancora più lungo di così. Durante la Seconda guerra mondiale il reperto è stato spostato dalla biblioteca al caveau di una banca, e poi al Castello di Rochlitz. Quando è stato ritrovato, purtroppo alcune delle lastre di vetro che lo proteggevano erano infrante, col risultato che mancavano delle parti. Per fortuna, nel 1875 l’egittologo Georg Ebers, da cui prende il nome, lo aveva fatto già riprodurre integralmente in un libro. Fu proprio Ebers ad acquisire il papiro per conto dell’università di Lipsia, dove è rimasto a partire dal 1873 – a eccezione del periodo bellico. Oggi il reperto è considerato dagli studiosi una sorta di manuale di medicina dell’antico Egitto e ci permette di viaggiare nel tempo e immaginare come doveva essere la medicina di quei luoghi, 3500 anni fa.

Papiro Ebers: come è stato trovato e come è fatto

Dove si trovava originariamente il papiro Ebers? Purtroppo su questo fronte non abbiamo molti dettagli. Sappiamo che nel 1862 il documento è stato acquistato a Luxor, dove sorgeva l’antica Tebe, dal famoso egittologo e collezionista Edwin Smith e che, nel 1872 o 1873, è stato comprato da Ebers. Si racconta che sia stato trovato tra le gambe di una mummia proprio a Luxor. Non è possibile provarlo, ma è plausibile che possa provenire dal famoso sito archeologico.

Il papiro Ebers è un rotolo di 48 fogli di papiro singoli incollati tra loro e, al momento della scoperta, era completo. Nella sua versione digitale, online dal 2017, le parti mancanti sono state sostituite con quelle della pubblicazione di Ebers. Il testo è in scrittura ieratica, vale a dire la forma “corsiva” della scrittura geroglifica, usata più comunemente. Il testo procede da destra a sinistra con inchiostro nero, mentre il rosso è utilizzato per le intestazioni e le misurazioni. È strutturato in 110 colonne (l’equivalente delle pagine). Sul retro della Colonna I c’è un calendario con la data della levata della stella Sotis (cioè Sirio) nel nono anno del regno di Amenhotep I (1525-1504 a.C.). L’anno egizio, infatti, cominciava quando la stella tornava per la prima volta visibile all’alba.

Nonostante la provenienza un po’ incerta, il papiro è sicuramente autentico. Anche la datazione col metodo del carbonio-14 ha confermato la sua antichità, che coincide con la datazione dedotta dal testo.

Un manuale di medicina vecchio 3500 anni

Quando Ebers pubblicò il libro con la riproduzione del papiro si sapeva già che trattava di medicina, ma non era ancora stato tradotto. La prima traduzione, in tedesco, arrivò solo nel 1890: fu uno dei primi papiri medici a essere tradotti, oltre a essere in assoluto il più esteso e antico.

Il papiro contiene 879 testi singoli che descrivono circa 80 malattie e per ciascuna il trattamento. È una raccolta molto eterogenea che si suppone sia stata assemblata da diverse fonti, ma è chiaramente suddivisa per argomenti. Nell’ordine: incantesimi da recitare prima dell’inizio di un trattamento, medicina interna, malattie degli occhi, disturbi della pelle, malattie delle estremità, varie (testa, lingua, denti, naso, orecchie, cosmetici), ginecologia, informazioni sul sistema cardiovascolare, ulcere.

Le formule magiche e religiose in un antico testo di medicina non dovrebbero stupirci, né dovremmo pensare che i medici dell’epoca fossero per questo arretrati. All’epoca la medicina ammetteva interventi soprannaturali e, con occhi moderni, potremmo considerare questi antichi rimedi come una sorta di placebo. Riguardo agli altri rimedi, un aspetto interessante è che il 70-80 per cento degli ingredienti è sconosciuto, perché dalla traduzione gli studiosi non sono riusciti a risalire, per esempio, alle piante utilizzate. Molti degli ingredienti che sono invece stati identificati hanno davvero un’attività farmacologica e sono presenti in altre tradizioni mediche, anche se, come abbiamo già spiegato su Wonderwhy, la presenza di un principio attivo in una pianta non equivale a dire che un rimedio preparato a partire da quella stessa pianta sia efficace.

La medicina dei faraoni (e non solo)

Oggi conosciamo 14 papiri medici dell’antico Egitto. Ovviamente sono un prodotto del loro tempo, e non sarebbe di certo una buona idea affidarsi a quelle conoscenze per curarsi. Ma ci fanno capire quanto fosse avanzata la cultura medica egizia. Per esempio, le sezioni in cui è suddiviso il papiro Ebers ci dicono che la medicina del tempo era già specializzata. Lo deduciamo anche dal papiro di Edwin Smith, un altro famosissimo testo che è interamente dedicato alla chirurgia. Sappiamo che la conoscenza delle piante medicinali era profonda, anche se non siamo riusciti a identificare tutti gli ingredienti che usavano e non ne conosciamo l’efficacia. Sappiamo inoltre che i medici egiziani erano osservatori e diagnosti eccezionali, perché gli studiosi sono riusciti a identificare quasi tutte le malattie elencate e i loro sintomi, cancro incluso.

Nonostante gli antichi egizi fossero esperti di mummificazione, e quindi avessero esperienza nella manipolazione dei cadaveri, non conoscevano le funzioni di molti organi. Solo a occhi moderni le loro conoscenze anatomiche e fisiologiche appaiono, però, rudimentali. Per esempio, è probabile che avessero già intuito la funzione del cuore, che viene descritto come connesso a vasi diffusi nel corpo. Il cuore, dicevano, “parlava” in ogni parte del corpo, cioè era possibile sentirne il battito (polso) e usare questa informazione a scopo diagnostico. E nel papiro di Smith si usa, per la prima volta nella storia umana, una parola che significa cervello.

Almeno uno dei rimedi descritti nel papiro di Ebers, quello per estrarre il verme della Guinea, è tuttora valido: si estrae lentamente il parassita arrotolandolo su un bastoncino. Ma più che l’efficacia di questo o quel rimedio, forse dovrebbe interessarci il metodo e il modo di pensare delle figure, un po’ dottori e un po’ maghi, che lo hanno scritto e consultato. L’egittologo Ian Shaw spiega nel suo libro dal titolo “Ancient Egyptian Technology and Innovation che le conoscenze mediche degli antichi egizi si sono evolute nel tempo. I papiri, infatti, a volte rimandano ad altre fonti con espressioni come un altro libro dice, che ricordano molto le espressioni usate dagli studiosi odierni. I testi medici più recenti, inoltre, descrivono nuovi rimedi e incantesimi rispetto a quelli più datati, anche assorbiti da altre culture. Al Tempio di Kom Ombo, del II secolo a.C., sono per esempio raffigurati strumenti chirurgici che appartengono alla cultura romana.

Forse l’aspetto più moderno dell’arte medica egizia è che non era riservata solo ai faraoni e ai sudditi appartenenti alle classi più abbienti. I testi su ostraka e papiro trovati nel villaggio Deir el-Medina ci riferiscono che i lavoratori stipendiati che costruivano le tombe dei faraoni avevano diritto a giorni di malattia. Inoltre, assieme alle loro famiglie, avevano accesso all’assistenza sanitaria, erogata da medici a loro volta pagati dallo stato, che provvedevano anche alla distribuzione di alcuni rimedi. In questo modo ci si assicurava che i lavoratori fossero produttivi. Non si trattava ovviamente di una copertura sanitaria universale, ma ci dimostra che in questa civiltà avevano capito l’importanza – anche economica – di sviluppare un sistema sanitario.

Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.
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