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L’igiene attraverso i secoli

Per gran parte della storia umana l’igiene personale e degli ambienti è stata limitata dalla tecnologia (sistemi di distribuzione di acqua corrente, sistemi fognari, disinfettanti) di là da venire. A questo stato di cose ha contribuito per millenni anche una conoscenza carente di come un ambiente poco pulito possa favorire problemi di salute. Ciò nonostante, il legame tra sudiciume e problemi di salute è sempre stato intuito, seppure in modo empirico, sin dall’antichità e ogni civiltà ha sviluppato procedure igieniche più o meno avanzate.

 

Il verme nematode Caenorhabditis elegans ha solo 302 neuroni, contro gli oltre 80 miliardi degli esseri umani. Eppure quelle poche cellule nervose gli sono sufficienti per rilevare nell’ambiente la presenza del batterio Bacillus thuringiensis e allontanarsi. Questo, scriveva l’esperta di igiene e salute pubblica e professoressa della London School of Hygiene & Tropical Medicine Valerie Curtis (1958-2020),  è un comportamento igienico. La parola igiene deriva infatti dal greco ὑγιεινή, cioè “che giova alla salute”, ed è ciò che ottiene il verme allontanandosi da un microrganismo che produce una tossina letale.

Quasi tutti gli odierni animali mostrano comportamenti analoghi, il cui risultato è igienico. Basti pensare al modo in cui i gatti si leccano il pelo e coprono di sabbia le loro deiezioni, o a come le api tengono lindo l’alveare. L’igiene, quale insieme di misure in grado di favorire la sopravvivenza propria e della prole, è in effetti radicata nell’evoluzione, e noi esseri umani non facciamo eccezione. Reagiamo istintivamente con disgusto a determinati stimoli, come un odore di marcio o la vista di feci e larve, e lo facciamo prima di ricordarci o sapere perché tali segnali rappresentino un rischio sanitario. Ma questo non spiega del tutto la complessità dei nostri comportamenti igienici, oggi e nel passato. A differenza degli altri animali, per noi l’igiene è anche un insieme di norme culturali e sociali apprese, e il disgusto stesso può essere trasmesso e imparato.

 

Pulizia preistorica

Non c’è dubbio: l’igiene umana precede i tempi storici. Le prove archeologiche e gli studi antropologici indicano che i cacciatori-raccoglitori, e ancora di più le successive comunità stanziali, mantenevano “puliti” gli ambienti in cui vivevano: per esempio dedicavano precise aree all’accumulo di immondizia e delle deiezioni. Inoltre, già nell’età della pietra Homo sapiens e Neanderthal molto probabilmente tagliavano barba e capelli. Verosimilmente avevano cominciato a farlo per rimuovere parassiti, come pulci, pidocchi e zecche, ma è probabile che la cura dell’aspetto avesse già assunto anche un valore culturale (come oggi). Persino l’igiene orale forse non era sconosciuta. Nella placca dentale di ominini vissuti più di un milione di anni fa sono state trovate tracce di legno: dal momento che gli esseri umani non possono digerirlo, forse questo significa che usavano dei rametti per pulirsi la bocca.

Facevano il bagno o comunque si lavavano, nei fiumi, nei laghi e nei mari in prossimità dei quali si stabilivano? Non ci sono prove dirette, ma sarebbe irragionevole presupporre il contrario visto quello che sappiamo delle specie umane e degli altri animali in generale. Del resto è probabile che l’aspetto igienico e curato faccia parte di quei segnali biologici, diventati poi anche culturali, che comunicano a un potenziale partner di qualunque specie animale: “sono pulito e ho pochi parassiti, con me avrai prole più sana che non con quel tipo tignoso e pulcioso…”.

 

L’igiene nelle antiche civiltà

Le diverse civiltà hanno adottato pratiche igieniche diverse in tempi diversi ma si può dire che tutte hanno cercato di affrontare il problema. Per esempio, le antiche città sumere, in Mesopotamia, non erano particolarmente pulite. Non c’era un sistema efficiente per la gestione dei rifiuti, comprese le deiezioni dei cittadini, e gli archeologi hanno trovato montagne di scarti accumulati nelle città. Ma sappiamo che di ciò erano consapevoli e che hanno cercato di migliorare, per quanto possibile le condizioni igieniche, date le tecnologie disponibili. Anche la loro medicina, del resto, aveva riconosciuto il legame tra pulizia e buona salute, e pur senza acquedotti e fognature degne di questo nome, si praticava l’igiene personale. Anche grazie al sapone: già nel 2800 a.C., infatti, i Babilonesi avevano capito come produrlo a partire da grasso e cenere.

Più o meno nella stessa epoca le civiltà della valle dell’Indo erano invece più progredite per quanto riguarda l’organizzazione e la salubrità delle loro città. Le acque nere erano mantenute separate dalle acque chiare, molte abitazioni erano servite da un pozzo e avevano un bagno. Una parte dell’acqua era usata anche per risciacquare, e il tutto era raccolto in fognature interrate. Non avevano sviluppato la tecnologia del sapone, ma usavano alternative: per esempio, le bacche di Sapindus saponaria, ricche di saponine. In questo modo erano riusciti anche a fabbricare ciò che potremmo chiamare i primi shampoo.

Gli antichi Egizi non erano da meno in quanto a ingegneria idraulica, ma anche nella loro civiltà pare che il sapone non fosse conosciuto. Il famoso papiro medico di Ebers riporta diverse ricette a base di sostanze alcaline e grassi con cui probabilmente producevano chimicamente saponi, ma non sembra che fossero usati per la pulizia quotidiana. A questo scopo usavano molto il natron, un minerale ricco di carbonato di sodio, e altre sostanze naturali.

La limitata e irregolare diffusione del sapone non deve stupire: la sua produzione è stata a lungo limitata e costosa e probabilmente il risultato non era sempre ritenuto all’altezza di altri metodi, specialmente per quanto riguarda l’igiene personale. I Romani, per esempio, cominciarono a usarlo solo verso la fine dell’impero: prima, per pulirsi applicavano sulla pelle oli e polvere di pomice, e poi rimuovevano l’eccesso con uno strumento di metallo chiamato strigile.

Probabilmente la pratica era già conosciuta e diffusa nell’antica Grecia, dato che la statua dell’Apoxyómenos, scolpita da Lisippo nel IV secolo a.C., mostra un atleta impegnato in questa operazione. Anche per i Greci la pulizia personale era importantissima, così come la necessità di organizzare le città per limitare infezioni e contaminazioni. La costituzione ateniese prescriveva, per esempio, regole per lo smaltimento delle deiezioni e la gestione delle sorgenti d’acqua pubbliche, e inoltre ordinava la rimozione dei cadaveri dalle strade. Del resto avevano anche una dea della salute e dell’igiene, Igea (o Igiea), che era figlia del dio della medicina Asclepio. Entrambe le divinità sono invocate nel giuramento di Ippocrate.

 

Il Medioevo e oltre

Nel Medioevo le persone continuarono a lavarsi, nonostante le tante leggende su questo periodo, relative specialmente al Medioevo europeo. Certo, il bagno quotidiano a casa propria non era una consuetudine: per buona parte dell’anno questo richiedeva scaldare l’acqua e, senza disporre di cucine a gas o elettriche, era un po’ più laborioso di oggi. Però la maggior parte delle persone faceva lavori intensi e si sporcava: si lavava quindi quotidianamente, anche senza concedersi sempre un vero e proprio bagno. Per fortuna nelle città esistevano i balnea, luoghi simili alle terme già sviluppate dalle civiltà più antiche come i Romani, dove tutti potevano fare un bagno caldo e “socializzare”. A volte, proprio per quest’ultimo aspetto, i balnea non erano visti particolarmente di buon occhio dai religiosi, perché molti bagni pubblici non erano separati per sesso.

Se pensiamo che il Medioevo fosse sporco è (anche) a causa di un fraintendimento. Secondo una leggenda piuttosto diffusa, il Re Sole, in pieno Seicento, si sarebbe lavato 2 o 3 volte nel corso della sua vita. Se perfino un re potentissimo e ricchissimo, vissuto nell’opulenza della reggia francese di Versailles, non usava acqua e sapone, com’è possibile che lo facessero le persone comuni dell’arretrato Medioevo? Tuttavia, Luigi XIV senz’altro si è lavato più di 3 volte nelle sue favolose stanze da bagno, ma è vero che in quel periodo a volte i dottori sconsigliavano i bagni poiché aprivano i pori, favorendo le infezioni (naturalmente, si sbagliavano), oppure perché esponevano al freddo e all’umido in ambienti che per la maggior parte dell’anno erano gelidi, favorendo raffreddamenti e, con essi, possibili malattie. Ci troviamo dunque davanti a un comportamento igienico, anche se con basi talvolta errate. Ma se anche alcuni nobili facevano meno bagni di quelli che sarebbero forse stati auspicabili, c’erano altri sistemi di “pulizia”, come lavarsi “a pezzi” e cambiare frequentemente biancheria e sottovesti.

 

L’igiene diventa scientifica

I rituali e le convenzioni di igiene del corpo, della bocca e degli ambienti sono emersi precocemente, ma le prassi sono cambiate molto nel tempo e nello spazio. Solo dalla rivoluzione industriale in avanti si assiste alla loro progressiva standardizzazione. In quell’epoca, infatti, alcuni scienziati cominciarono a capire perché lo sporco è nemico della salute, scoprendo che vi si annidano numerosi microrganismi capaci di farci ammalare. Igiene, quindi, vuol dire (soprattutto) uccidere o rimuovere regolarmente questi microbi da persone, superfici, bevande e cibi. Si capì anche che non sempre quello che appare pulito lo è abbastanza per alcuni scopi, come per l’esempio l’igiene delle mani per medici e ostetriche addette al parto, come aveva scoprì per esempio il medico ungherese Ignác Semmelweis. L’insieme di queste scoperte, e delle successive applicazioni, ha rivoluzionato non solo la medicina, ma anche la vita quotidiana.

Grazie all’industrializzazione, le tecnologie e i prodotti igienici, anche preesistenti (come il sapone), sono diventati via via più accessibili. Successivamente le città hanno cominciato gradualmente a popolarsi di infrastrutture igienico-sanitarie. Ma tutto ciò ha richiesto parecchio tempo: a metà del secolo scorso l’acqua corrente nelle abitazioni in molte parti d’Italia era ancora salutata come un miracolo.

Da allora il nostro arsenale igienico non ha fatto che crescere. Ma la pulizia può essere troppa?

 

Troppa igiene?

In alcuni casi si può dire di sì, per esempio all’inizio della pandemia di Covid-19 molte persone si sono intossicate nel tentativo di “sterilizzare” la propria abitazione. Nella confusione di quei giorni ci si era illusi che disinfettare qualunque cosa avrebbe ridotto il rischio. Può anche capitare di lavarsi più del necessario: secondo alcuni esperti docce troppo frequenti rischierebbero di rimuovere i batteri “buoni” che vivono sulla pelle, di rendere la cute troppo secca e persino di favorire l’insorgenza di infiammazioni e infezioni. Di preciso non sappiamo se lavarsi “troppo” crei preoccupanti danni alla salute, perché gli studi su questo preciso aspetto sono ancora piuttosto limitati, anche se ci sono indizi che una certa esposizione ai germi può essere utile allo sviluppo delle nostre difese.

La cosiddetta ipotesi igienica dice che allergie e alcune malattie del sistema immunitario sono in aumento nelle civiltà più ricche e pulite anche a causa delle nostre moderne abitudini igieniche, che limiterebbero l’esposizione ai microbi. L’ipotesi, formulata nel 1989 dall’epidemiologo britannico David Strachan, è tutt’oggi oggetto di controversie. Per alcuni è considerata sorpassata e potenzialmente dannosa, mentre per altri è fondata, ma va integrata con numerose altre conoscenze.

Oggi sappiamo che l’aumento di allergie può essere dovuto anche a numerosi altri fattori presenti nelle società industrializzate, che non hanno immediatamente a che fare con una presunta “eccessiva” pulizia, ma con una limitata esposizione al mondo dei microrganismi. Per esempio, la diffusione del parto cesareo non permette ai neonati di ricevere la “dote” di microbi presenti nella vagina materna e che vanno a formare il primo nucleo di microrganismi del neonato o della neonata. A questa prima privazione di contatto con germi utili possono seguire: un breve o inesistente allattamento al seno; meno tempo passato all’aperto e a contatto con la terra; un abuso di antibiotici ad ampio spettro, anche a causa dell’utilizzo spropositato di questi farmaci negli allevamenti; diete che favoriscono la crescita di flora intestinale poco salutare; famiglie meno numerose per cui ci si passano meno malattie infantili… Tutto questo insieme di pratiche della vita moderna limita i contatti con i microbi, la stragrande maggioranza dei quali è neutra o utile alla nostra salute, mentre solo un’infima minoranza è patogena. Una conoscenza precoce di una vasta varietà microbica è infatti essenziale, oltre che alla costituzione del microbiota, all’apprendimento e alla maturazione del sistema immunitario. Difese che non hanno sufficienti occasioni di imparare a distinguere i microbi innocui o benefici da quelli invece dannosi e da eliminare rischia di favorire il successivo sviluppo di malattie come le allergie e le patologie autoimmuni.

Le normali pratiche igieniche rimangono quindi essenziali e irrinunciabili, per gli individui e per l’intera società. Vanno però integrate alla consapevolezza che un eccesso di tentativi di sterilità può comportare un prezzo in salute da pagare.

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