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I primi farmaci di sintesi

Quando e come abbiamo iniziato a produrre farmaci grazie alle conoscenze chimiche e di quali prodotti si trattava.

Per lungo tempo le sostanze maggiormente usate per curare erano erbe, radici, cortecce e funghi, o loro parti, reperibili in natura. Erano pressoché le uniche risorse disponibili per trattare i malati. Se non potevano offrire guarigioni, quanto meno permettevano a volte di alleviare qualche sintomo. Solo a partire dal 1860 circa sono entrati a far parte della farmacopea i primi composti di sintesi, ottenuti in laboratorio grazie allo sviluppo dell’industria chimica, rivoluzionando il modo in cui i farmaci sono concepiti, sviluppati, prodotti.

Il primo principio attivo di sintesi è stato il cloralio idrato, un composto con attività sedative, capace di ridurre l’attività del sistema nervoso centrale, che è stato ampiamente utilizzato sia come anestetico sia per trattare i disturbi del sonno prima dell’avvento dei barbiturici. Il cloralio idrato fu prodotto e isolato per la prima volta nel 1832 dal chimico tedesco Justus von Liebig, ma dovettero trascorrere alcune decine di anni prima che gli studiosi riuscissero a dimostrare le sue proprietà farmacologiche e stabilire che poteva essere assunto dagli esseri umani. Autore della prima monografia sul tema, datata 1869, fu il farmacologo tedesco Oscar Liebreich, che per primo ipotizzò la scissione di questa molecola, una volta nel sangue, in acido formico e cloroformio. Quest’ultimo era un fluido estremamente volatile di cui in quegli anni venivano dimostrate le proprietà anestetiche previa inalazione, e che per questo stava cominciando a essere somministrato prima degli interventi chirurgici. Negli stessi anni andava diffondendosi l’utilizzo del protossido di azoto e dell’etere etilico per le anestesie, in particolare nel settore dentistico per l’estrazione dei denti.

Molti dei primi medicinali ottenuti in laboratorio devono la loro produzione al settore tessile e al forte sviluppo soprattutto dei coloranti e di altri composti chimici. Alcuni di questi derivavano dalla lavorazione del catrame, la massa nera e appiccicosa che forma il residuo della distillazione del carbone fossile e che costituiva una delle materie prime fondamentali della Seconda rivoluzione industriale. Le prime aziende farmaceutiche nacquero dunque come una costola dei laboratori di ricerca dell’industria tessile e della intensa ricerca di materiali per tinture. Sfruttando la grande disponibilità di sostanze chimiche organiche (derivanti anche dal carbon fossile) con proprietà tutte da investigare, si cercavano così composti in grado se non di curare almeno di alleviare sintomi come la febbre e i dolori.

Per esempio, l’acetanilide, anche detta “antifebbrina”, fu sviluppata come primo antipiretico di sintesi della storia e commercializzata nel 1886 per iniziativa della Bayer, un’azienda nata nel 1863 come fabbrica di coloranti. Anche in seguito al successo di questo prodotto, l’azienda proseguì la ricerca di altri potenziali principi attivi nei prodotti di scarto dalla lavorazione del catrame. In questo modo individuarono, per esempio, il precursore per la sintesi della fenacetina, la cui produzione fu avviata nel 1887 e che rimase in uso fino alla scoperta, attorno al 1950, del paracetamolo, uno dei principi attivi contro i dolori e la febbre più noto al mondo e che ancora oggi non manca mai nei nostri armadietti per i medicinali.

Già nel 1897 era stato sintetizzato l’acido acetilsalicilico, meglio conosciuto col nome commerciale del farmaco che lo contiene, l’aspirina. Dotato di proprietà analgesiche, antipiretiche e antinfiammatorie, deriva dall’acido salicilico, ottenuto dal salice bianco (Salix alba) e già usato dai Sumeri e dagli antichi Egizi, sotto forma di estratto della corteccia della pianta, per trattare malesseri come febbre, infiammazione e dolore. L’acido salicilico, che era stato isolato sempre a fine Ottocento, aveva però un sapore decisamente amaro, ma soprattutto era tossico. Fu probabilmente un giovane chimico tedesco, Felix Hoffmann, ad aggiungere a questo composto un gruppo acetile, sintetizzando così l’acido acetilsalicilico. Una molecola nuova, seppur ispirata da una tradizione antichissima, di molto precedente rispetto alla diffusione delle conoscenze chimiche. E destinata a diventare uno dei farmaci più utilizzati del Ventesimo secolo.

Alice Pace
Giornalista scientifica freelance specializzata in salute e tecnologia, anche grazie a una laurea in Chimica e tecnologia farmaceutiche e un dottorato in nanotecnologie applicate alla medicina. Si è formata grazie a un master in giornalismo scientifico presso la Scuola superiore di studi avanzati di Trieste e una borsa di studio presso la Harvard Medical School di Boston. Su Instagram e su Twitter è @helixpis.
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