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Il vino (non) fa buon sangue: l’illusione dell’alcol che fa bene (e del miracoloso resveratrolo)

Come mai i francesi, nonostante una dieta ricca di grassi saturi, sembravano ammalarsi meno di malattie cardiache rispetto ad altre popolazioni con un’alimentazione simile? Un tempo si pensava fosse grazie al vino rosso, bevuto regolarmente ma moderatamente dai francesi. Oggi sappiamo che non è così… ma l’illusione a molti ha fatto comodo.

Si avvicina l’autunno, è tempo di vendemmia: una buona occasione per ripercorrere la storia di come, quarant’anni fa circa, si è diffusa in Francia una diceria che può insegnarci a fare attenzione quando il marketing riguardo a un bene di consumo si spinge troppo oltre, sconfinando nel campo della salute. Protagonista è il vino e in particolare una sua componente: il resveratrolo.

Il “paradosso francese”

Nel 1970 il professor Serge Renaud, specialista in cardiologia, lavorava a Montreal, in Canada. Aveva sentito dire che i risultati di uno studio svolto a Framingham, sul rapporto tra malattie cardiache e abitudini e comportamenti (su WonderWhy ne abbiamo parlato qui), sembravano mostrare un effetto protettivo dell’alcol contro le malattie delle coronarie.

Il dato emerso dallo studio, che all’epoca non era ancora stato pubblicato, colpì molto il ricercatore. Renaud era cresciuto in una tenuta vinicola vicino a Bordeaux, in Francia, e aveva visto con i propri occhi i nonni vivere fino a 80-90 anni bevendo ogni giorno un po’ di vino ai pasti. Rientrato in patria nel 1973, iniziò allora a studiare il rapporto tra nutrizione e cardiologia e in particolare si interessò appunto all’alcol. In seguito, negli anni Ottanta, alcuni epidemiologi francesi resero nota un’altra osservazione che colpì la sua attenzione: i francesi assumevano troppi grassi saturi, fonte di colesterolo “cattivo” (che è uno dei fattori di rischio delle malattie coronariche), eppure la mortalità di questa popolazione era inferiore a quella attesa. Gli scienziati lo chiamarono il “paradosso francese”, e Renaud era convinto di poterlo spiegare. La sua ipotesi era che il merito fosse nel consumo di alcol, in particolare quello del vino rosso, stando alle statistiche. Pensava che i dati sulla mortalità confermassero la sua prima intuizione e che bere moderatamente, come facevano i suoi nonni, potesse avere quindi un effetto protettivo per la salute. Le patologie cardiovascolari possono infatti essere dovute al restringimento delle arterie del cuore causato da depositi di grasso e altre sostanze (le cosiddette placche). In tali condizioni, se si forma un piccolo coagulo, un vaso può restare ostruito, causando un attacco cardiaco. Secondo il ricercatore bere vino rosso in modo moderato avrebbe potuto prevenire la formazione delle placche che restringono i vasi, un po’ come fanno l’aspirinetta o altri farmaci antiaggreganti.

Dal vino rosso al resveratrolo

Il 17 novembre 1991 il paradosso francese e la tesi di Renaud finirono in televisione, in un segmento del programma americano “60 Minutes”, trasmesso in prima serata dalla CBS. Nel corso del programma fu intervistato anche lo scienziato e il messaggio inviato al pubblico fu netto: un buon bicchiere di vino, purché rosso, fa solo bene. Le vendite di vino rosso negli Stati Uniti quell’anno decollarono e il paradosso diventò famoso in tutto il mondo. Renaud fu praticamente “costretto” a scrivere un articolo sulla rivista medica Lancet per ribadire che la parola chiave era “moderazione”, in quanto l’alcol era comunque una sostanza pericolosa. Questo perché, come lui stesso raccontò, le autorità statunitensi erano preoccupate dell’impatto del messaggio e gli avevano chiesto di chiarire le sue parole.

Il mondo si ritrovò in quel periodo a credere che la scienza stesse confermando la cosiddetta saggezza popolare: “il vino fa buon sangue”. Fu una manna per l’industria degli alcolici e in particolare per quella del vino, che da allora cominciò ad approfittare di questo inaspettato spot proveniente dalla ricerca. Ma allo stesso tempo le ricerche sul paradosso francese continuarono. Che cosa rendeva il vino rosso così speciale? Molti sospetti si concentrarono sul resveratrolo, una molecola prodotta in molte piante e presente nella buccia degli acini d’uva. Nella preparazione del vino bianco le bucce sono eliminate prima della fermentazione, a differenza di ciò che avviene per quello rosso, che per questo contiene più resveratrolo.

Dai test di laboratorio e dall’analisi della struttura chimica sembrava in effetti che il resveratrolo possedesse moltissime proprietà interessanti. In particolare le sue doti di antiossidante avrebbero potuto spiegare l’apparente effetto protettivo del vino rosso. Essendo la molecola parte di una pianta presente in natura, non era obbligatorio fare studi per dimostrarne sicurezza ed efficacia. E chi non gradendo il vino rosso avesse voluto comunque assumere resveratrolo, lo poteva acquistare sotto forma di integratore. A differenza dei farmaci, gli integratori possono essere venduti senza che sia obbligatorio per legge dimostrarne, da parte dei produttori, sicurezza ed efficacia. Oltre che per l’industria vinicola, il paradosso francese si rivelò quindi una benedizione anche per quella degli integratori alimentari, che da allora promettono miracoli per il cuore e molto altro per chi assume le pillole rosso rubino.

Scienza, marketing e miti

Nel corso del tempo il paradosso francese e la tesi di Renaud hanno convinto diversi scienziati, anche se non c’è mai stato un ampio consenso in merito. D’altronde, stabilire relazioni tra i nutrienti e le malattie in una popolazione è un compito molto complicato e delicato, che richiede anni di studio e non sempre porta a conclusioni attendibili. Ancora oggi sembra che i francesi si ammalino meno di altre popolazioni con diete simili di malattie coronariche (la mortalità è la più bassa in Europa). Comprendere perché è tuttavia un altro paio di maniche. Il presunto effetto protettivo dell’alcol (etanolo) e/o delle bevande che lo contengono è stato molto studiato da allora, ma ha prodotto risultati contraddittori. Una doccia fredda si è abbattuta anche sul “magico” resveratrolo: innanzitutto, ce ne sarebbe troppo poco nel vino rosso per poter esercitare un qualunque effetto. Inoltre, anche se gli studi in questo senso proseguono, le sperimentazioni cliniche non hanno ancora mostrato chiari e inequivocabili segnali su come e se agisca negli esseri umani.

Se il rapporto tra nutrizione e salute è complicato, lo è ancora di più trarre, dalle conoscenze in questo campo, delle raccomandazioni condivise. Se anche si potesse provare che il vino ha un effetto protettivo contro un certo gruppo di malattie – come detto, i risultati epidemiologici sono contraddittori – non sarebbe comunque una buona idea consigliarne il consumo, anche se moderato. L’alcol infatti non è un nutriente, bensì una sostanza tossica e cancerogena. Secondo uno studio i cui risultati sono stati pubblicati su Lancet nel 2018, e che ha esaminato dati raccolti in tutto il mondo, più alcol si consuma e più è probabile ammalarsi e morire, in particolare di cancro. Non esiste infatti una soglia al di sotto della quale questa sostanza sarebbe invece innocua o addirittura salutare. Dello stesso parere anche la World Heart Federation, il principale organo rappresentativo della comunità di esperti in salute cardiovascolare, che in una guida pubblicata a inizio 2022 sostiene che l’industria degli alcolici abbia fuorviato il pubblico sui presunti benefici di questa sostanza utilizzando tattiche simili a quelle usate dall’industria del tabacco.

Non solo conflitti di interesse

Il paradosso francese continua tutt’ora a far vendere alcol e integratori, ma bisogna riconoscere che il mito del vino “buono” è nato nel mondo della scienza, e non in quello del marketing o dei media. Questi ultimi lo hanno amplificato ad arte, ma ciò non spiega perché per molti anni così tanti scienziati abbiano lavorato a qualcosa che si è rivelata nel tempo un’illusione.

La ricercatrice e giornalista Hilda Bastian ha ben spiegato come i miti possano nascere anche all’interno della scienza, in un suo post pubblicato nel 2014 sul sito di Scientific American, dedicato in particolare al resveratrolo. Secondo la studiosa, la scienza dietro un’ipotesi accattivante, anche se in realtà è solo un castello di carte traballante, può rivelarsi molto resistente. Perché, studio dopo studio, può succedere che ricevano attenzione solo le ricerche che confermano una certa narrazione. Scrive Bastain:

“I miti basati sulla scienza sono intrecci di ipotesi che sono ancora lontane dall’essere confermate, ma hanno narrazioni logicamente accattivanti. Anche se gli scienziati conoscono le “regole del gioco” sui pericoli degli errori logici, come scambiare la correlazione per causalità o esagerare la portata dei risultati sugli animali, soccombono comunque. Potrebbero sapere che ogni carta, da sola, non è direttamente probante, ma una volta che ce n’è una torre, sembra diventare una convincente prova circostanziale. La convinzione prematura si propaga velocemente”

Per fortuna, a un certo punto i miti sono sfatati e il castello di carte infine crolla. A volte bastano nuovi dati sperimentali particolarmente robusti e convincenti. A volte aiutano revisioni sistematiche, cioè studi che analizzano la mole di ricerche condotte attorno a una certa ipotesi per trarne una sintesi. In queste valutazioni, gli specialisti “pesano” i risultati delle moltissime ricerche pubblicate, che non sono dello stesso tipo o della stessa qualità, raggiungendo infine uno sguardo di insieme.

Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.
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