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Il futuro incerto dei pazienti con malattie mentali

Servono azioni concrete per ridurre la mortalità legata alle malattie mentali. Mettiamo a fuoco il problema e alcune proposte degli esperti in occasione della Giornata mondiale della salute mentale.

Le malattie mentali sono “ladre” di presente e di futuro. Erodono in modo subdolo la qualità dell’esistenza così come il tempo, fino a sottrarre mesi o anni di vita. L’insorgere di una malattia mentale può in effetti portare a morte prematura, dato che l’aspettativa di vita media di chi ne è affetto è di circa 10 anni inferiore rispetto a chi non lo è. Negli ultimi anni fortunatamente l’importanza della salute e del benessere mentale è venuta sempre più alla luce, tanto che quest’ultimo è stato riconosciuto tra gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Tuttavia, gli attuali tentativi di intervento non bastano.

A giugno 2023, sulla rivista Lancet Psychiatry 40 studiosi di diverse parti del mondo hanno proposto un’azione su scala globale contro la mortalità prematura associata a disturbi e malattie mentali. Ne parliamo oggi, 10 0ttobre, in occasione della Giornata mondiale della salute mentale, che mira a rendere il benessere psichico un diritto umano universale.

I numeri delle malattie mentali

A livello globale 1 persona su 8 convive con un disturbo psichico, per la maggior parte di entità lieve o moderata, mentre 1 ogni 20 soffre di un problema mentale grave. In totale si stima che le persone colpite nel mondo siano oltre 1 miliardo, la maggioranza delle quali non ha accesso a cure e servizi efficaci. D’altronde ancora oggi la maggior parte dei paesi destina in media appena il 2 per cento dei propri budget sanitari alla salute mentale.

Le malattie mentali hanno molteplici cause, non tutte ancora conosciute. È probabile che tra i fattori di rischio ci siano componenti genetiche ereditarie e situazioni ambientali che possono stimolare, in positivo o in negativo, l’esordio di un problema di questo tipo. In genere l’età più comune in cui possono emergere questi problemi è dalla fine dell’adolescenza ai 30 anni circa. La crisi pandemica è stata, per esempio, un forte fattore di stress che sembra avere fatto emergere fragilità, soprattutto nei più giovani.

Nella fascia di età tra i 18 e i 29 anni sembrano essere fortemente aumentati i sintomi depressivi in diversi Paesi, e circa la metà dei pazienti potrebbe non avere ricevuto l’aiuto e le cure di cui aveva bisogno. Più di recente, il conflitto in Ucraina sembra avere generato nuove emergenze, in particolare tra i rifugiati e gli sfollati, senza parlare dei possibili traumi subiti dai migranti che attraversano ogni giorno il Mediterraneo.

Male dentro, male fuori

La fatica di vivere con un disturbo mentale può non essere percepita del tutto dai familiari, amici e conoscenti, ma può essere devastante per chi lo sperimenta ogni giorno in prima persona. In alcuni casi può indurre a compiere un gesto violento e drammatico come il suicidio, un fenomeno più diffuso di quanto si pensi, in particolare tra i giovani. Il suicidio è infatti la quarta causa di morte nel mondo nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni e la metà dei decessi per questo motivo avviene prima dei 50 anni. Le differenze non sono geografiche, ma soprattutto socioeconomiche, visto che circa l’80 per cento dei casi nel mondo si verifica in Paesi a reddito medio e basso. Inoltre, ricordiamo che a ogni morte per suicidio corrispondono molti più tentativi che non raggiungono lo scopo, da parte di persone quindi da considerare ad alto rischio di ricaduta. La prevenzione dei tentativi di suicidio è un tema piuttosto dibattuto tra gli esperti, dato che non tutti ritengono che esistano strategie efficaci e basate su ricerche scientifiche per limitare efficacemente il problema.

Ma il suicidio non è la sola causa delle morti premature tra chi soffre di malattie mentali. Vi sono anche le cosiddette comorbilità, ossia le patologie, spesso croniche, associate a questi problemi. Esse possono includere problemi cardiaci, ipertensione, disturbi respiratori e persino tumori. Anche l’alcolismo, il fumo di sigaretta e l’abuso di altre sostanze sono fattori di rischio più elevati tra chi soffre di malattie mentali. Nell’insieme sia le malattie croniche sia le dipendenze da sostanze di vario tipo concorrono a ridurre l’aspettativa di vita di questi pazienti, in particolare di quelli più gravi.

I disturbi mentali quindi compromettono la salute di tutto l’organismo in modo sia diretto sia indiretto, attraverso meccanismi in parte ancora da spiegare. Prendendo per esempio la depressione, tra coloro che ne sono affetti sono più frequenti i problemi cardiovascolari, il diabete, il dolore cronico e la malattia di Alzheimer. Secondo i risultati di alcune ricerche, anche l’osteoporosi potrebbe essere associata alla depressione. Una ragione potrebbe essere che molte persone depresse potrebbero avere maggiori difficoltà a prendersi cura della propria salute non solo mentale. È infatti sufficiente non seguire un’alimentazione adeguata, rinunciare all’attività fisica, a una buona igiene del sonno o alla qualità della interazioni sociali per perderci in salute. Sono oggetto di studio inoltre alcuni meccanismi fisiologici della depressione (o di altre malattie) che potrebbero avere un ruolo diretto nell’insorgenza di disturbi fisici: processi infiammatori, alterazioni pressorie e nel ritmo del cuore, alterazioni metaboliche o nei livelli degli ormoni dello stress.

Un habitat difficile

A ostacolare la riduzione dei decessi legati alle malattie mentali non sono soltanto le finora limitate conoscenze su queste patologie, ma anche le difficoltà nell’offrire cure adeguate a chi ne ha bisogno. Spesso non aiuta nemmeno il contesto sociale, dove persistono ancora da un lato disinteresse pubblico, e dall’altro discriminazioni, pregiudizi e atteggiamenti ostili nei confronti delle persone con disturbi mentali. Questi possono comprendere l’uso improprio di parole denigratorie e stigmatizzanti, la critica di specifiche condizioni, fino a vere e proprie azioni volte all’emarginazione. Anche in modo non esplicito e involontario, le persone estranee a queste malattie possono provare disagio o avere paura di confrontarsi con qualcuno che reputano instabile, e quindi tendere a prendere le distanze. Di conseguenza anche i pazienti possono percepirsi diversi e arrivare persino a stigmatizzare se stessi. Possono seguire situazioni di isolamento, fenomeni di bullismo e violenza. Tutto questo può contribuire al fatto che i malati resistano l’idea di cercare cure o di aderirvi, o a un senso di profonda sfiducia nelle proprie capacità. La persona malata si può ritrovare così ad avere meno opportunità rispetto agli altri.

Quando il lavoro è un problema

L’ambiente di lavoro è un terreno di sfida importantissimo in quest’ambito. Esiste purtroppo una correlazione tra la mortalità associata alle malattie mentali e la disoccupazione. Quest’ultima condizione sociale è infatti tra i fattori maggiormente responsabili di disuguaglianze, poiché determina insicurezza finanziaria ed è spesso legata a solitudine e al peggioramento dello status sociale, delle abitudini e delle condizioni di vita in generale. Può dunque essere un fortissimo fattore di stress per chi già soffre di malattie mentali o per ha altri fattori di rischio.

Quando un’occupazione c’è, invece, si possono verificare episodi di discriminazione e stigmatizzazione proprio sul luogo di lavoro o quantomeno può mancare o essere insufficiente la presa in carico dei pazienti da parte della comunità anche in ambito lavorativo. Per esempio, l’attenzione sul fronte delle terapie è spesso poca o nulla. Chi è in cura con determinati farmaci per una patologia mentale deve infatti convivere, oltre che con la malattia, con i loro effetti collaterali, che possono alterare il rendimento, i livelli di attenzione, la memoria e le capacità verbali. Tali fattori possono da un lato rendere conflittuali i rapporti coi colleghi, dall’altro portare i pazienti a esitare nel presentarsi al lavoro o nel riprendere a lavorare dopo assenze per crisi acute della malattia. In particolare possono essere problematiche le mansioni che richiedono di usare macchinari o guidare veicoli. Tuttavia, mantenere la propria occupazione è importante perché può contribuire al recupero, anche in caso di disturbi gravi come per esempio la psicosi postpartum.

Restituire il futuro

L’edizione 2023 della Giornata mondiale della salute mentale è in nome dell’inclusione. Il motto di quest’anno è “Our minds, our rights”, in italiano le nostre menti, i nostri diritti: un richiamo a migliorare la conoscenza, aumentare la consapevolezza e guidare azioni che possano promuovere e proteggere la salute mentale di tutti, nessuno escluso. Per raggiungere questo obiettivo, secondo l’analisi di Lancet Psychiatry citata in apertura, bisognerebbe attivare interventi coordinati a livello globale. A partire dal problema dei crescenti tassi di mortalità legati sia ai suicidi sia alle malattie associate a quelle mentali.

Gli autori hanno studiato a fondo l’insieme di fattori che concorrono al rischio di morte prematura nelle persone con disturbi mentali attraverso un approccio multidisciplinare, anche con la partecipazione attiva di gruppi di pazienti che vivono o hanno vissuto in prima persona l’esperienza della malattia. Il risultato dell’indagine è un piano d’azione con una serie di raccomandazioni basate sui risultati di ricerche scientifiche. Divise in 3 blocchi, tali raccomandazioni sono destinate a decisori politici, aziende e operatori sanitari di tutto il mondo. Nel primo blocco si promuove un’assistenza sanitaria integrata che rimuova le barriere tra cure mentali e fisiche, e che favorisca interventi per la formazione del personale sanitario, miglioramenti nell’accesso ai servizi, potenziamento di screening e azioni precoci sulle comorbilità. Il secondo blocco di raccomandazioni è incentrato sulla prevenzione: innanzitutto occorre limitare l’accesso a mezzi e strumenti letali al fine di ridurre il numero dei suicidi. Inoltre, bisogna migliorare l’accesso a trattamenti efficaci e a una medicina più mirata e precisa, potenziare le politiche contro il fumo e l’abuso di altre sostanze e gli interventi per una alimentazione varia ed equilibrata. Sul fronte sociale si raccomandano, invece, provvedimenti basati sulla comunità e altri, educativi, per la depenalizzazione del suicidio (in certi Paesi è ancora considerato un crimine), per la lotta contro i pregiudizi e per la promozione di ambienti di lavoro più accoglienti e tolleranti. Infine, l’ultimo blocco invita a ottimizzare le risorse, ad aumentare gli investimenti in servizi e ricerca, a spianare le disparità di reddito e a cogliere il potenziale della digitalizzazione e dei big data in sanità.

Alice Pace
Giornalista scientifica freelance specializzata in salute e tecnologia, anche grazie a una laurea in Chimica e tecnologia farmaceutiche e un dottorato in nanotecnologie applicate alla medicina. Si è formata grazie a un master in giornalismo scientifico presso la Scuola superiore di studi avanzati di Trieste e una borsa di studio presso la Harvard Medical School di Boston. Su Instagram e su Twitter è @helixpis.
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